I tagli alle Regioni su poteri e stipendi

I tagli alle Regioni su poteri e stipendi
di Diodato Pirone
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Lunedì 28 Novembre 2016, 17:08 - Ultimo aggiornamento: 17:48
Non c’è solo l’eliminazione del Cnel fra i tagli previsti dalla riforma costituzionale. Sul fronte delle Regioni, ad esempio, sono state scritte due norme mirate alla riduzione dei costi della politica: il divieto di finanziare i gruppi politici presenti nei consigli regionali e la riduzione degli stipendi dei consiglieri regionali al livello di quello del sindaco del Comune capoluogo. Quest’ultimo provvedimento (inserito nella parte finale del primo comma dell’articolo 122, vedi grafico in basso) comporterebbe una drastica riduzione degli stipendi dei consiglieri regionali che spesso superano i 10.000 euro lordi mensili. Si valuta che il risparmio sul fronte dei gruppi politici sia nell’ordine dei 30 milioni annui mentre i circa 600 consiglieri regionali perderebbero in media oltre la metà della propria indennità. Sul fronte delle Regioni inoltre, con l’articolo 117, la riforma ridà molte competenze allo Stato, a partire da energia e turismo, con l’obiettivo di semplificare le procedure e di tutelare meglio l’interesse nazionale. 

Le ragioni del Sì
«Se vince il Sì sarà eliminata una ingiustizia come quella degli stipendi troppo alti dei 5/600 consiglieri regionali e sarà fatto divieto alle Regioni di finanziare i gruppi politici presenti in Regione, così smetteranno di nascere partitini con l’unico scopo di farsi finanziare da soldi regionali». E’ drastico il giudizio degli esponenti del Comitato per il Sì sul valore del nuovo articolo 122 della Costituzione. Per quelli del Sì, però, la portata della riforma costituzionale sul fronte delle Regioni non si misura solo sulla riduzione degli stipendi e dei rimborsi e dunque dei costi della politica ma sul valore strategico della semplificazione delle procedure definito dal nuovo rapporto fra Stato e Regioni scolpito dall’articolo 117. Con la riforma viene quasi cancellato il Titolo V nato nel 2001 che aveva concesso ampi poteri alle Regioni. Ora si fa marcia indietro. Allo Stato, in nome dell’interesse nazionale, viene assicurata la competenza sulle infrastrutture e sulle reti; sull’energia; sulle norme generali relative all’istruzione, alla formazione professionale, alla disciplina delle regole sul lavoro. L’obiettivo è chiaro: fare in modo che gli italiani abbiano gli stessi diritti da Venezia a Reggio Calabria. L’articolo 117, lunghissimo e diviso in 21 commi, dalla a alla zeta, elenca minuziosamente le materie di esclusivo interesse dello Stato con l’obiettivo di eliminare i contenziosi fra Stato e Regioni che negli ultimi anni hanno mandato in fumo enormi quantità di tempo e denari. 

Le ragioni del No
I tagli agli stipendi dei consiglieri regionali? Irrisori. La decisione di impedire che le Regioni finanzino i gruppi politici presenti nei Consigli regionali? Poca roba. Il ridimensionamento dei poteri delle Regioni? Scritto male. Gli esponenti del Comitato per il No liquidano con poche battute le misure previste dalla riforma costituzionale sul fronte delle Regioni. «La riforma determina uno squilibrio perché non affronta i veri nodi dei costi della politica come le municipalizzate», è la risposta che si sente dire da quelli del No. A loro giudizio servirebbe uno spazio ben definito per le Regioni di cui dovrebbero essere responsabili, cosa che la riforma non fa. In particolare gli esponenti del No accusano l’esecutivo Renzi di non aver affrontato il tema delle Ragioni a Statuto Speciale per cui le nuove regole previste dalla riforma potrebbero portare, in determinate situazioni, «ad esempio all’azzeramento della Regione Lombardia da parte dello Stato ma non a quello della Regione Sicilia o della Valle d’Aosta». Secondo gli esponenti del No la riforma è dunque malfatta e comporta grossi rischi perché, come ha dimostrato l’esperienza della riforma del titolo V introdotta nel 2001 che diede molti poteri alle Regioni, una modifica della Costituzione che poi non funziona determina un aggravamento dei costi e non una loro adeguata riduzione. 
 
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