Nel giorno della vittoria le intenzioni sembrano delle migliori. Lo speaker della Camera Paul Ryan - che fino alla fine si era rifiutato anche di menzionare Trump candidato limitandosi a sostenerlo "per dovere" - dopo essere stato rieletto per la nona volta e aver guardato i risultati, il presidente eletto lo ha ringraziato pubblicamente. «Abbiamo vinto in congresso molti più seggi del previsto e molto è merito di Donald Trump». Quindi i buoni propositi: «Adesso dobbiamo unire il Paese. Dobbiamo lavorare per lenire. È il momento della redenzione e non delle recriminazioni». Messe così le cose, per i repubblicani è sventato anche il "pericolo" di sbilanciamenti alla Corte Suprema: rimane infatti in ballo la sostituzione del giudice ultraconservatore Antonin Scalia mancato nei mesi scorsi e spetta adesso a Donald Trump presidente fare un nome. In campagna elettorale ne aveva citati una decina, adesso però deve scegliere e se l'alchimia funziona il processo non può che andare liscio (con la ratifica prevista al Senato) e garantire quindi una massima Corte allineata con il partito che guida il Paese.
Trump l'outsider, non ideologico e per questo premiato dalle urne. Difficile prevedere le scelte politiche che adesso è chiamato a fare: una su tutti la compagine di governo.
Ci si chiede cosa andrà a chi, e chi metterà dove, tra le figure anche molto diverse tra loro che lo hanno appoggiato nella campagna elettorale. Le prime ipotesi tracciano tuttavia un identikit dalla connotazione inconfondibile legata a nomi noti quali l'ex speaker della Camera e storico leader del partito repubblicano Newt Gingrich e Rudy Giuliani. Il primo sarebbe in pole position per la carica di segretario di Stato nell'amministrazione Trump, mentre l'ex sindaco di New York diventerebbe 'attorney general', ministro della giustizia.
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