La legge che un gruppo di associazioni piuttosto variegato (dai Radicali all'Arci, dalla Caritas alle Acli) prevede, in sintesi, l’introduzione di canali diversificati di ingresso per lavoro, forme di regolarizzazione su base individuale degli stranieri già radicati nel territorio, misure per l’inclusione sociale e lavorativa di richiedenti asilo e rifugiati, l’effettiva partecipazione alla vita democratica col voto amministrativo e l’abolizione del reato di clandestinità.
A maggio è partita in tutta Italia la raccolta firme, anche con il supporto di un’ampia rete di sindaci – al momento sono un centinaio – che hanno aderito alla campagna. Secondo i sostenitori gli immigrati in Italia rappresentano l’8,2% della popolazione e sono decisivi per compensare la flessione degli italiani. Su 500 milioni di europei dell’Unione, solo il 6,9% è costituito da immigrati: l’Italia con una quota dell’8,2% è allineata a Germania (9,3%), Regno Unito (8,4%) e Francia (6,6%). Gli immigrati sono meno istruiti e a loro sono riservate quasi esclusivamente le mansioni meno qualificate e meno retribuite rifiutate dagli italiani, ma il loro contributo alla crescita della ricchezza nazionale è ritenuto considerevole (quasi 8 punti di PIL, 100 miliardi l’anno).
I Radicali fanno notare che per mantenere sostanzialmente inalterata la popolazione italiana dei 15-64enni nel prossimo decennio, dal momento che gli italiani diminuiranno dal 2015 al 2025 di 1,8 milioni di unità, è necessario un aumento degli immigrati di circa 1,6 milioni di persone, con un flusso d’ingressi di 157 mila in media ogni anno. È questo il fabbisogno indispensabile per garantire l’attuale capacità produttiva del Paese e per rendere sostenibile il sistema previdenziale.
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