Piano Condor, al processo solo 8 ergastoli: vicepresidente uruguayano annulla conferenza stampa a Roma

Piano Condor, al processo solo 8 ergastoli: vicepresidente uruguayano annulla conferenza stampa a Roma
di Franca Giansoldati
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Martedì 17 Gennaio 2017, 21:55 - Ultimo aggiornamento: 18 Gennaio, 16:30
Roma – Si è concluso a Roma, con otto ergastoli, 19 assoluzioni e sei proscioglimenti per morte degli imputati, il processo al famigerato Piano Condor, una operazione politica sostenuta anche dalla Cia, che anni Settanta servì a a difendere i regimi militari in America Latina da ogni forma di dissidenza. Ci sono voluti 23 mesi di processo e 61 udienze. In tutto gli imputati – ex capi di Stato e esponenti delle giunte militari e dei servizi di sicurezza in carica in quegli anni - erano 32, accusati di tortura e omicidio dei "desaparecidos": militanti di sinistra, insegnanti, studenti, sindacalisti, intellettuali che in quel periodo combattevano le giunte militari di Uruguay, Argentina, Cile, Paraguay e Brasile. 23 vittime furono italiane. Il collegio della terza corte d'Assise presieduto da Evelina Canale ha emesso la sentenza nell'aula bunker di Rebibbia riconoscendo otto gli ergastoli, anche se l'accusa ne aveva chiesti 27, per la morte dei 23 cittadini di origini italiane.

Per sei imputati nel frattempo è intervenuta la morte (come per i vertici della polizia cilena, Manuel Contreras deceduto recentemente in carcere e Arellano Stark). I condannati sono tutti in contumacia: e sono Hernan Ramirez Ramirez per l’omicidio di Omar Venturelli, Rafael Valderrama Ahumada per quello di Juan Montiglio, l’uruguaiano Juan Carlos Blanco, i boliviani Garcia Meza e Arce Gomez, i peruviani Cerruti Morales-Bermudez, Prada Richter e Ruiz Figuerroa. Diciannove imputati sono stati assolti, tra cui Jorge Troccoli, l'unico degli accusati residente in Italia, ma all'epoca nei servizi segreti della marina uruguaiana.

A Rebibbia c'era anche una delegazione ufficiale giunta dall’Uruguay e presieduta dal vice presidente Raoul Sendic. Poichè Sendic si aspettava la condanna di Troccoli - unico imputato in aula - e non la sua assoluzione, ha cancellato per protesta la conferenza stampa organizzata per l'indomani mattina nella sede dell'Istituto Latino Americano. "Siamo molto amareggiati"

Troccoli nel corso del processo è stato presentato dalla difesa come una persona estranea ai fatti, un mite pensionato che non aveva ruoli di peso, anche se pare fosse conosciuto con il soprannome di “El torturador”. E' stato assolto per mancanza di prove. Era fuggito alla fine degli anni ’90 dall’Uruguay a causa dei processi in cui era coinvolto, ottenendo con il tempo la cittadinanza italiana. E' stato assolto per numerosi omicidi contestati, compresi quelli degli italo-uruguaiani Edmundo Dossetti, Ileana Garcia, Julio D’Elia, Yolanda Casco, Raul Borrelli e Raul Gambaro.

C'è voluto un lavoro quasi ventennale di ricerca, di analisi comparativa delle fonti, i testi ascoltati sono stati centinaia, sono state esaminate le sentenze dei tribunali esteri e ci son voluti più di due anni di dibattimento e di attesa. La sentenza riguarda il sequestro e l'omicidio di 42 giovani, tra cui 23 italiani, avvenuti in Cile, Argentina, Bolivia, Brasile e Uruguay tra il 1973 e il 1978. La maggior parte di loro sono ancora “desaparecidos”.

In Vaticano Papa Francesco ha seguito da vicino, prima in Argentina e ora a Roma, le vicende dei desaparecidos, incoraggiando la giustizia a fare il suo corso, aprendo gli archivi vaticani, ascoltando le Madri de Plaza de Mayo, pregando perchè molte famiglie possano prima o poi ritrovare i figli dei desaparecidos, nati in carcere da madri uccise dai militari e dati in adozione a famiglie complici. Un tema che è emerso diverse volte durante gli incontri in Vaticano con le “abuelas” di Plaza de Mayo. Secondo le Nonne argentine anche in Italia potrebbero esserci circa dei «figli rubati», ancora da ritrovare.
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