Vaticano, al processo per l'attico di Bertone vieta pc ai giornalisti

Vaticano, al processo per l'attico di Bertone vieta pc ai giornalisti
di Franca Giansoldati
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Sabato 23 Settembre 2017, 15:37 - Ultimo aggiornamento: 24 Settembre, 11:33
Città del Vaticano - Il Vaticano vieta ai giornalisti di lavorare con il computer portatile nell'Aula del Tribunale dove si sta svolgendo il processo per la ristrutturazione dell'appartamento del cardinale Bertone. La regola tassativa è stata disposta “dall'alto” e la stampa internazionale si deve adeguare, pena l'allontanamento dalle udienze. Il divieto imposto di fatto impedisce ai cronisti di portare con sé banali strumenti di lavoro, quindi niente pc, niente tablet, niente telefonini. Un gendarme, prima di passare sotto il metal detector collocato all'ingresso del tribunale, provvede a sequestrare ogni strumento, compreso il computer. Chi segue le udienze e deve trascrivere il dibattimento può utilizzare solo carta e penna.

Il cancelliere del Tribunale, interpellato su chi avesse imposto questa regola anacronistica, si è limitato a rispondere in malo modo che si trattava di una «disposizione dall'alto e che se non andava bene non restava altro che andarsene». Difficile stabilire da dove sia partito l'ordine, se dal presidente del Tribunale, dal Governatorato, dalla Segreteria di Stato o, cosa improbabile, dal Papa in persona. Chissà. Malgrado le lamentele della stampa anche alla prossima udienza fissata per il 2 ottobre - dove i giudici decideranno se fare deporre la presidente dell'ospedale Bambino Gesù, Enoc, e il direttore dell'Aif, Di Ruzza – i giornalisti ammessi in aula dovranno fare senza strumenti di lavoro concessi in tutti i tribunali del mondo (ma non in Vaticano). Per ogni udienza i giornalisti ammessi sono solo 8, l'aula interna è troppo piccola per potere contenere un pubblico più ampio. Il presidente del Tribunale si era opposto alla possibilità di predisporre un collegamento con la sala stampa vaticana e dare modo a tutti i giornalisti di seguire il dibattimento senza alcuna restrizione, né imposizione. Mentre Papa Francesco ha fatto della trasparenza la bandiera del suo pontificato, i polverosi uffici giudiziari d'oltretevere sembra che facciano fatica ad adattarsi al nuovo corso.

Stavolta l' udienza del processo in corso ha avuto come protatonista Marco Bargellini, a capo della sezione edilizia del Governatorato, ascoltato come test. Nella sua deposizione ha parlato del 
doppio pagamento per la ristrutturazione dell’appartamento
 dell’ex Segretario di Stato. Bargellini ha affermato che il Governatorato ha pagato 7 fatture per i lavori
 dell’appartamento e i lavori comuni del palazzo, sostanzialmente il
 rifacimento del lastrico solare. I contratti sono stati fatti
 con l’impresa Castelli Re, dell'imprenditore edile Bandera, scelto da Bertone e confermato nel ruolo dal cardinale Bertello.

Alla domanda se fosse al corrente che 
i lavori della ristrutturazione della casa fossero stati
 pagati anche dalla Fondazione Bambino Gesù, Bargellini ha
 risposto: «Assolutamente no». I costi sostenuti dal Governatorato, a titolo di anticipo,
 visto che Bertone si era impegnato a risarcire successivamente, sono stati 354 mila
 euro per l’appartamento e 179 mila euro per il rifacimento della
terrazza condominiale. Intanto la Fondazione Bambino Gesù aveva già versato altri 422mila euro ad un’altra ditta (sempre collegata a Bandera) la Lg Contractor, una holding con sede a Londra.


Nel frattempo Bandera fallisce, e da quel fallimento si fermano i lavori che si sbloccheranno solo con il secondo pagamento da parte del Governatorato. Una curiosità : la casa dell’ex Segretario di Stato «non è mai 
stata collaudata», ha riferito Bargellini, perchè la
 ditta era fallita e il «Governatorato trattenne dalle somme da
pagare una ritenuta di garanzia del 5%». E a tutt’oggi, secondo 
quanto emerso nel processo, dalla testimonianza dell’ingegnere
 del Governatorato, il porporato vive in un appartamento dove non 
sono mai stati effettuati i collaudi.












 
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