Vaticano, il caso Bertone: dopo condanna, Profiti deposita il ricorso in appello

Vaticano, il caso Bertone: dopo condanna, Profiti deposita il ricorso in appello
di Franca Giansoldati
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 18 Ottobre 2017, 18:49 - Ultimo aggiornamento: 19 Ottobre, 11:37
CITTA' DEL VATICANO L’ex presidente della Fondazione Bambino Gesù, Giuseppe Profiti e il suo avvocato, Antonello Blasi, hanno fatto ricorso in appello, come avevano annunciato sabato scorso, contro la sentenza emessa dal Tribunale Vaticano per il processo sulla ristrutturazione dell'appartamento del cardinale Tarcisio Bertone. L’istanza è stata depositata presso la cancelleria del Tribunale Vaticano. Profiti inizialmente imputato per peculato è stato condannato dai magistrati per abuso d’ufficio (un anno di reclusione, con sospensione condizionale della condanna per cinque anni; interdizione temporanea dai pubblici uffici per un anno e alla multa di cinquemila euro). Il secondo imputato, l'ex tesoriere Massimo Spina, è stato invece assolto «per non avere commesso il fatto». 

La Radio Vaticana ha rilevato che Profiti, secondo l'ordinamento giuridico vaticano, ha ancora quattro giorni di tempo per depositare le motivazioni del ricorso (che dovrà depositare anche senza sapere quali sono le motivazioni della sentenza attesa tra qualche mese). Radio Vaticana precisa che solo a quel punto verrà  data comunicazione formale alla Corte d’appello. Il nuovo processo potrà  essere calendarizzato solo quando il Tribunale avrà  depositato le cosiddette motivazioni della sentenza.

La complicata vicenda della ristrutturazione della maxi casa di Bertone (400 metri quadri) situata a palazzo San Carlo continuerà probabilmente a dare filo da torcere alla magistratura di Papa Francesco. La vicenda processuale finora è andata avanti per tre mesi sollevando a più riprese imbarazzati silenzi, incongruenze, omissioni e persino la falsa testimonianza in aula di due testimoni. Il processo del resto non prometteva nulla di buono sin dall'inizio. Il cardinale Bertone per disinnescare il rischio di essere chiamato a testimoniare aveva depositato un corposo memoriale in cui descriveva per filo e per segno le complicate vicende interne al Vaticano. Un memoriale che non è mai stato pienamente accessibile agli avvocati della difesa. A questo si sono aggiunti altri documenti scarsamente accessibili, mentre nel corso delle udienze persino alcuni testimoni si sono rifiutati di parlare adducendo segreti cruciali capaci di mettere a repentaglio la «sicurezza militare, economica e finanziaria del piccolo stato pontificio».

Fin dall'inizio ogni passaggio è stato segnato dalla assenza di due cardinali: Tarcisio Bertone e Giuseppe Bertello, quest'ultimo a capo del Governatorato, proprietario dell'immobile. Entrambi erano a conoscenza dei problemi in corso per la ristrutturazione, ma nessuno ha voluto appurare se per caso fossero stati sollecitati i pagamenti delle fatture per i lavori. Il tempo scadeva, gli operai della ditta subappaltatrice andavano pagati altrimenti la casa non sarebbe mai stata terminata in tempo per il trasloco. Si registrarono pressioni da più parti, compreso l'ordine diramato da Papa Francesco di fare presto: Bertone doveva lasciare libera la dimora in uso al segretario di Stato. In questa cornice le  fatture sono state emesse due volte ma pagate sempre allo stesso imprenditore, Giuseppe Bandera, un costruttore ligure legato a Bertone, che in quel periodo aveva parecchi guai economici, tanto che alcune sue società, una delle quali con sede a Londra, finirono in concordato preventivo proprio mentre era in corso la ristrutturazione. I 400 metri quadri erano da suddividere in due aree, una privata per il cardinale e le suore e una ala di rappresentanza da utilizzare per cene di beneficenza e raccogliere denaro da destinare all'ospedale Bambino Gesù.

Il progetto di fund raising  era stato ideato dall'ex manager del Bambino Gesù, Giuseppe Profiti ma aveva ricevuto il placet del cardinale Bertone, suo diretto superiore, come del resto si legge nel memoriale: «Per quanto riguarda all'aspetto relativo al rapporto con il professore Giuseppe Profiti, la vicenda è molto semplice. La tesi del professore Giuseppe Profiti (per cui tale ricerca era comunque a favore dell'Ospedale Bambino Gesù, per continuare in modo nuovo le iniziative di promozione, di beneficenza e di reperimento foni) fa capo a un'idea di quest'ultimo, ma, per parte mia, vigeva la rigorosa clausola di cui si è detto, e cioè il non pesare assolutamente sulla Fondazione Bambino Gesù. L'accusa di aver usato soldi della Fondazione Bambino Gesù é menzognera ed infamante, considerata la passione con cui da sempre ho preso a cuore l'attività dell'Ospedale e le iniziative di promozione e reperimento fondi a suo favore».
© RIPRODUZIONE RISERVATA