Npc Rieti, il ritorno al sogno
per i tifosi nella notte della vittoria
stellare contro Reggio Calabria

Giocatori e tifosi festeggiano il successo a fine gara (Foto Itzel Cosentino)
di Emanuele Laurenzi
5 Minuti di Lettura
Lunedì 20 Febbraio 2017, 14:49
RIETI - Finisce nel canto. Finisce nella gioia. Finisce nella bolgia. Finisce con la squadra sotto la curva, con gli ultras in delirio, il pubblico in estasi e i giocatori che cantano e ballano sotto una pioggia di gavettoni da festa. Finisce con i pugni alzati al cielo, con le corde vocali che ancora una volta ti malediranno per una settimana, ma alla fine chissenefrega. Perché quando finisce Rieti-Reggio Calabria guardi solo in alto, guardi solo il tabellone e quando vedi scritto 104-96 hai solo voglia di ricominciare a cantare, ricominciare a tifare, ricominciare a saltare su quei gradoni di un PalaSojourner che non vorresti più lasciare.

Si guarda in alto, in tutti i sensi. Si guarda avanti, si guarda oltre, si guarda a quello che ormai sembrava impossibile. E’ poker, è quarta vittoria di fila, è crisi dimenticata, cancellata, gettata alle spalle. E’ rammarico, certo, perché quei 12 punti lasciati per strada in 6 sfide consecutive ti fanno pensare a quel che poteva essere oggi ma che non è. O, meglio, ancora non è. Perché alla fine ti siedi, stremato, fai i conti, ripensi a quello che hai visto in campo, ripensi a quello che è passato su questo campo e cominci a sognare senza fermarti più. Troppo bello lo spettacolo di ieri al PalaSojourner per accontentarsi. Troppo esagerato quel basket visto soprattutto nei primi 20’ di gioco per non pensare a quei play off, a quella post season, a quell’obiettivo che dopo le prime giornate sembrava così vicino da essere quasi scontato.

«Calma» predicano tutti. «Calma» predicano quelli che, a cavallo la fine e l’inizio dell’anno si sono scottati con la rabbia delle 6 sconfitte di fila e con tutto quello che c’è girato intorno, prima, durante e dopo le partite. E allora si cerca di volare basso, di guardare molto dietro e poco avanti. Ma poi ti guardi intorno, guardi il pubblico, guardi le facce esaltate da PalaSojourner in delirio e ti rendi conto che no, questo popolo non è così. Questo popolo non è fatto, strutturalmente, per guardarsi dietro. Questo popolo è fatto per sognare e continuare a sognare. Per pensare in grande contro tutti e contro tutto. Per guardare sempre e solo avanti.

E’ così che è sempre andata, è così che va e così che deve andare a Rieti: ci si esalta solo per i grandi obiettivi, ci si esalta solo quando si sogna, ci si esalta solo quando si punta dritto l’obiettivo più alto, più ambizioso e forse più irraggiungibile. Il resto è noia e viene snobbato. Mentalità giusta o sbagliata non si sa, ma è chiara una cosa: non si raggiunge il massimo se ci si accontenta della mediocrità e «solo» un’altra salvezza è vista come la mediocrità che allontana dal massimo, dalla perfezione, dalla grandezza. Non è giusto, non è logico, non è sensato ma è così. Con buona pace di discorsi legati a budget, sponsor, biglietti, abbonamenti, piazze storiche, società allargate e chi più ne ha più ne metta. E allora ecco perché quella classifica che si riaccorcia, quei 4 punti dai play off, quelle posizioni che si scalano piano piano generano quel folle delirio che accompagna i quaranta minuti di gioco, diventa un canto che sale all’infinito e sfuma nella notte reatina quando si spengono le luci del palazzo ma nell’aria c’è ancora l’odore della vittoria.

Già, i canti. Quelli che ci sono mancati in quei primi 60, interminabili, secondi. Quel minuto di gioco passato in silenzio, con le uniche voci nell’aria che erano quelle dei giocatori che chiamavano schemi e giochi sul campo. Tutti zitti, a partire dal presidente Cattani con quel cerotto viola sulla bocca, a dire basta a multe e sanzioni spesso al limite della follia, che portano Rieti ad essere la terza società più multata d’Italia e che trasformano e fanno apparire un palazzo ed un pubblico di appassionati in ciò che non è. Non dev’esserci violenza e quella, realmente, a Rieti non c’è mai stata. C’è goliardia. A volte forse troppo, a volte eccessiva. Ma ciò che non è Rieti e ciò che Rieti non vorrà mai essere, è un teatro, un posto da sussurri e da passioni imbavagliate. Lo hanno fatto capire ieri i 2mila del PalaSojourner, esplosi poi in un tifo costante, incessante, martellante e dirompente che ha spinto la squadra verso il Paradiso, verso la perfezione. E’ stato come un autoalimentarsi a vicenda: il tifo cresceva e faceva crescere la squadra, che a sua volta faceva ricrescere il tifo che rilanciava la squadra, in una spirale senza fine. Una spirale dalla quale è esploso un primo tempo pazzesco, bellissimo, da lustrarsi gli occhi.

Una di quelle partite che non si vedevano da anni, che ti fanno amare il basket, che ti fanno pensare in grande, che ti fanno sentire che non puoi più perdere con nessuno. Uno dietro l’altro canestri e triple: prima le due schiacciate americane per aprire i tabellini, poi Pepper che va ai limiti del ventello in meno di un quarto d’ora di gioco. E poi Juan Marcos Casini che comincia a segnare, Zanelli che non sbaglia un colpo, Pipitone che entra e inchioda altre due schiacciate. Pazzesco e stratosferico, tanto che ti domandi come facciano gli altri ad essere ancora a 5 punti di distanza dopo 12’ di gioco. Domanda inutile, perché mentre ancora ti girano in mente quelle parole, la perfezione aumenta e Rieti vola avanti senza fermarsi anche di 24 punti e se ne va al riposo sopra di 21.

Finita? Macché. Primo perché sei Rieti, sei reatino e se vuoi gioire prima devi sempre soffrire. Poi perché dall’altra parte ci provanho a risalire, a picchiare, a farti innervosire. Ci provano ma non ci riescono e capisci che è giornata di gloria quando Casini ad ogni tripla stratosferica degli altri, i tuoi rispondono con giocate da marziani. Troppo Rieti, troppo cuore, troppo tutto per chiunque. Finisce lì, finisce così, finisce col pubblico che chiede i “100” a Casini dai liberi. Finisce con Zanelli che arrotonda e finisce nel canto, nella gioia, nella bolgia. Finisce che si torna a sognare, finisce con Luciano Nunzi che predica ancora calma e parla ancora di salvezza ma, mentre lo senti parlare, capisci che ha dentro la gioia del vincente e anche lui, sotto sotto, quel sogno è ricominciato anche per lui. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA