Nel carcere reatino di Vazia
la sorveglianza è un optional

Nel carcere reatino di Vazia la sorveglianza è un optional
di Renato Retini
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Sabato 18 Agosto 2018, 07:08 - Ultimo aggiornamento: 13:28
RIETI - Un carcere dove le fascette di costrizione – seppur richieste da tempo - non sono state mai fornite al personale. E neppure possono essere usate le manette per bloccare i detenuti più pericolosi perché il regolamento lo vieta.

«Una volta siamo stati costretti a usarle nei confronti di un soggetto particolarmente violento, ma il tribunale di sorveglianza ci ha praticamente diffidato perché avremmo dovuto utilizzare altri metodi in mancanza delle fasce», si sfoga Vincenzo Mascia, segretario provinciale del Sappe, il sottufficiale della polizia penitenziaria in servizio nel Nuovo complesso, rimasto vittima della prima aggressione compiuta da un rapinatore romano che poi, in conseguenza di quell’episodio, era stato ricoverato nel reparto di Diagnosi e Cura del de Lellis da dove, giovedì scorso, ha tentato di evadere. A bloccarlo nel parcheggio dopo un rocambolesco inseguimento e una violenta colluttazione sono stati due agenti e una guardia giurata della Mondialpol, ma la vicenda ripropone i tanti problemi legati alla sorveglianza dei soggetti a rischio, come quelli affetti da disturbi psichici che, dopo la chiusura dei manicomi giudiziari, vengono ospitati nelle carceri comuni dove non godono di corsie riservate per l’assistenza. E dopo aver scontato la pena, tornano liberi.

REPARTO MEDICO MAI APERTO
«Il medico specialista viene soltanto una volta alla settimana – aggiunge Mascia, rimasto ferito a un braccio - parla con il detenuto e poi gli prescrive la terapia che, quasi sempre, consiste nella somministrazione di farmaci in grado di mantenerlo calmo. Ma non è uno soltanto, attualmente a Vazia ce ne sono una ventina, presentano problematiche di diverso livello e richiedono una costante attenzione da parte del personale che però non basta a soddisfare tutte le esigenze. Se a ciò aggiungiamo il fatto che all’interno del carcere il reparto medico, dotato anche di posti letto, non è mai entrato in funzione, il quadro delle difficoltà è completo. Un detenuto che necessita di un trattamento sanitario obbligatorio, come quello che ha cercato di evadere, deve essere infatti ricoverato necessariamente in ospedale e per piantonarlo occorre far ricorso agli agenti in servizio, appesantendo la carenza di organico. Come sindacato, insieme alle altre sigle, abbiamo spesso denunciato questo stato di cose, ma nulla è cambiato».

LA DENUNCIA DEL SAPPE LAZIO
A Mascia fa eco il segretario nazionale per il Lazio del Sappe, Maurizio Somma, secondo il quale «la situazione a Rieti è sempre più tesa e pericolosa. Lo dimostra quello che è successo con l’aggressione all’ispettore della penitenziaria, costretto a ricorrere ai medici». Il detenuto, alto un metro e 90 e fisicamente prestante, aveva reagito con violenza perché rimasto senza le sigarette e nessuno era in grado di dargliene un’altra. Allora ha devastato la propria cella, che divide con un compagno, rompendo le suppellettili, ha aggredito il sottufficiale e, una volta condotto in isolamento, ha divelto dal muro il termosifone causando altri danni, tanto da essere ricoverato nel reparto psichiatrico del de Lellis.
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