Le falle nei conti comunali, a rischio 110 milioni per Roma Capitale

Le falle nei conti comunali, a rischio 110 milioni per Roma Capitale
di Simone Canettieri
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Venerdì 4 Agosto 2017, 07:51 - Ultimo aggiornamento: 09:31

Se da una parte il Campidoglio continua a chiedere a Palazzo Chigi 1,2 miliardi di euro per l'«agenda Roma», dall'altra, oltre al «no» ottenuto finora dal Governo, la giunta Raggi rischia di prendersi anche un'altra doccia fredda: la perdita dei 110 milioni di extracosti concessi alla Capitale a seguito dell'ultimo Salva Roma.
Il premio annuale infatti venne messo sul tavolo in cambio del piano di rientro triennale che l'allora giunta Marino avrebbe dovuto concludere entro il 2018. Ovvero 440 milioni di risparmi, tra tagli ai centri di spesa e razionalizzazione delle società partecipate del Comune, passando per la gestione del personale (vedi salari accessori).
Ecco, il problema è proprio questo: il piano triennale rischia di non essere portato a termine, per via delle contestazioni del Mef sul contratto decentrato (la vicenda degli arretrati) e soprattutto per via di altre scelte che il Campidoglio ha in mente di attuare sulla galassia delle partecipate. La corsa contro il tempo è già iniziata: entro il 30 settembre l'assessore Massimo Colomban prima di lasciare la barca presenterà il nuovo assetto dell'holding della Capitale. «Obiettivo rimanere con 9 società», è stata la promessa dell'uomo della Casaleggio.
Di sicuro alcune dismissioni o alienazioni non sono state portate a termine. E questo rischia di far saltare tutto. I casi principali riguardano Farmacap e Assicurazioni. Che non sono state messe sul mercato, rimanendo così nella pancia pubblica dell'amministrazione. La vera operazione di apertura rispetto al mercato riguarda al momento solo la quota comunale di Adr. Tutte le altre varie partecipazioni (dal centro fiori a quello carni, passando per la centrale del latte) sono rimaste ancora dove si trovavano prima.
GLI EFFETTI
Cosa rischia il Comune? Seppur ben ancorati i 110 milioni di extracosti potrebbero saltare. Ovvero non essere più concessi da Palazzo Chigi. Sarebbe una scelta politica forte e dirompente, in grado di rendere ancora più aspri i rapporti tra il M5S e il Governo, a trazione Pd. Una mossa da ponderare soprattutto in vista della prossima campagna elettorale per le politiche e per le regionali.
L'altra conseguenza più pratica riguarda i conti del Comune: non chiudere il piano di rientro significa avere a che fare comunque con uno squilibrio di 440 milioni di euro da far quadrare, in parte, sul bilancio. Questo produrrebbe tagli ai servizi. La via dunque è obbligata, anche se molto stretta. E tutto ruota intorno alle società e alla grana dei salari accessori. Per quest'ultima la linea del Campidoglio è netta e va verso lo scontro più aspro: appena il Tesoro contesterà formalmente la gestione dei premi erogati a pioggia rifacendosi sul fondo dei dipendenti, la giunta Raggi in tandem con i sindacati è pronta a scatenare i 23mila dipendenti del Campidoglio. Il vero nodo riguarda le società. Il piano Colomban prevede la dismissione di almeno 9 delle 21 partecipate del Campidoglio, accorpamento di competenze, individuazione di esuberi, con l'aggregazione delle società di secondo livello. Ma a far tremare i polsi alla giunta Raggi c'è la vicenda Atac: 1,3 miliardi di debito, un bilancio 2016 ancora da approvare e che si preannuncia in passivo ancora una volta, una nuova governance che si trova a dover prendere la decisione del concordato preventivo con tutti i rischi che comporta per i creditori (a partire dal Comune). Basta mettere in fila queste situazioni per capire come settembre sarà un mese caldissimo. E abbastanza cruciale per il destino dei conti della Capitale, e non solo per quelli.
 

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