Il testamento di Marco Prato: «Non ho ucciso»

Il testamento di Marco Prato: «Non ho ucciso»
di Valentina Errante e Adelaide Pierucci
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Giovedì 22 Giugno 2017, 00:25 - Ultimo aggiornamento: 23 Giugno, 10:53

Un foglio accartocciato e buttato via. E poi la stesura definitiva. Prima di suicidarsi, nel carcere di Velletri, Marco Prato aveva cestinato poche righe, la prima versione della sua ultima lettera: «Non ho partecipato quella notte. Non ho usato le armi». Un tentativo di prendere le distanze dalla mattanza di via Igino Giordani, costata la vita a Luca Varani e compiuta, a conclusione di un festino a base di sesso e cocaina, assieme all’amico Manuel Foffo, condannato in primo grado a trent’anni. E mentre l’autopsia sul corpo di Prato conferma che la morte per asfissia, ieri la prima corte d’Assise di Roma, ha chiuso il processo per la morte di Varani, che vedeva imputato solo Prato.
 

 


LA DECISIONE
«Il suicidio - ha scritto Prato - non è un atto di coraggio, né di codardia, il suicidio è una malattia dalla quale non sempre si guarisce, spero che considerandola esclusivamente come patologia, per definizione non ha connotazioni etiche come scappatoia o gesto egoistico perché è solo una malattia» Questa la premessa. Ma Prato ha voluto parlare anche del suo disagio: «La pressione dei media è insopportabile, le menzogne su quella notte e sul mio conto sono insopportabili. Questa vita mi è insopportabile. Perdonatemi, Marco». Una lettera di otto righe con una postilla: «Ps. Assicuratevi che quando mio padre sarà avvertito ci sarà un medico o la sorella (ex primario in pensione) con lui perché soffre di ipertensione e di cuore». 

ISTIGAZIONE AL SUICIDIO
Il procuratore capo di Velletri, Francesco Prete e il pm Giuseppina Corinaldesi, che hanno deciso di procedere per istigazione al suicidio per compiere l’autopsia, puntano ad accertare se il gesto potesse essere evitato, per questo ascolteranno anche lo psichiatra della Asl con cui il ragazzo aveva colloqui settimanali. All’esame dei pm anche le motivazioni del trasferimento da Regina Coeli al carcere di Velletri, che farebbero riferimento alla richiesta del detenuto di lasciare l’isolamento e «all’ambiente favorevole» che Prato si era creato a Roma. 
«Marco ci ha sempre detto e ribadito che aveva piena fiducia nei magistrati», ha detto il suo difensore, Pasquale Bartolo. Sulla volontà suicida del detenuto non ci possono essere dubbi. Ieri all’autopsia eseguita dal medico legale Vincenza Liviero, dell’istituto di medicina legale Tor Vergata diretto dal professor Giovanni Arcudi, ha partecipato anche un consulente nominato dai genitori della vittima. Prato aveva già tentato il suicidio ingerendo quattro flaconi di Minias e uno di En, a ventiquattro ore dall’omicidio di Luca Varani. Ma non era stato creduto. 
 

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