IL GIALLO
«In un precedente interrogatorio avevo detto che la pistola mi era scivolata perché mi vergogno così tanto di quello che è accaduto», dice il capofamiglia che si è attribuito tutta la colpa per la morte di Vannini, la sera del 17 maggio 2015 nella sua villetta di Ladispoli. Ma cosa è accaduto? «La mattina avevo deciso di pulire le mie 2 pistole continua Ciontoli e la sera mi sono ricordato di averle lasciate nella scarpiera del bagno nel momento in cui Marco si stava lavando. Sono entrato, anche mia figlia era presente ma è uscita. Marco ha visto le armi e ha chiesto di vederle. Abbiamo giocato un po', poi è partito un colpo». Antonio Ciontoli, che al medico del 118, nell'immediatezza dei fatti aveva raccontato che il ragazzo si era ferito con la coda di un pettine, al riguardo spiega: «Non ho chiamato subito il 118 perché prima lo volevo far calmare e volevo portarlo io in ospedale per parlare con il medico e chiedergli se con un piccolo intervento potevo risolverlo. Pensavo si trattasse di una cosa lieve . Non volevo fare uscire la notizia, al medico del presidio di primo intervento di Ladispoli ho detto che lavoravo presso la presidenza del Consiglio e se si poteva tenere la vicenda riservata, il medico mi ha detto di no, ed è caduto il castello che mi ero creato in mente». E scoppia a piangere a dirotto. Anche Martina ieri in aula, per due ore, ha tentato di spiegare cosa è successo quella notte: «Io non sapevo niente dello sparo, ho creduto a mio padre che ci aveva rassicurato sulle condizioni di Marco, mi sono fidata di lui». Ma si è più volte contraddetta. A fine udienza il presidente del collegio giudicante ha annunciato che il 12 novembre si conoscerà l'esito della perizia medica che spiegherà se Vannini poteva essere salvato.
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