Roma, a 80 anni muore a Regina Coeli, l'ultima lettera: «Fatemi uscire». Si indaga per omicidio colposo

Roma, a 80 anni muore a Regina Coeli, l'ultima lettera: «Fatemi uscire». Si indaga per omicidio colposo
di Adelaide Pierucci
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Martedì 25 Aprile 2017, 09:41 - Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 10:57

Qualche giorno fa aveva scritto alla moglie: «Tiratemi fuori da qua. Sono vecchio, non ne posso più. Vorrei tornare a casa. Cambio». Francesco Cameriere, il ladro di biciclette che per anni ha imperversato per Roma a caccia di due ruote da rubare o smontare, alla vigilia degli ottant'anni non avrebbe voluto morire a Regina Coeli. Ma le istanze di scarcerazione, nonostante l'età, gli venivano rigettate. L'ultima l'aveva scritta di suo pugno qualche giorno fa. Ora sulla sua morte si indaga. La procura ha aperto un'inchiesta e procede per omicidio colposo. Il corpo dell'anziano, crollato fuori da una cella e morto qualche ora dopo, all'alba di domenica, al San Camillo dove è stato trasportato d'urgenza, sarà sottoposto all'autopsia. Il medico legale è stato incaricato ieri, a piazzale Clodio dal procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e il sostituto Alessandro Di Taranto.
L'esame autoptico servirà ad accertare pure se avesse dei disturbi sottovalutati nella struttura penitenziaria. Eppure il ladro di bici era benvoluto a Regina Coeli, era considerato il nonnetto del carcere. I compagni di cella lo coccolavano. Preparavano i pasti pure per lui, gli lasciavano i bocconi più buoni. Gli agenti usavano accortezza.

LA RICHIESTA
Così quando una decina di giorni fa ha visto dietro alle sbarre il suo difensore, l'avvocato Simona Tranquilli, Francesco Cameriere, ha chiesto solo «la libertà». «Qui non mi trattano male», ha premesso, «E' come se fosse la mia casa. Gli altri detenuti mi rispettano e mi aiutano, ma non sto bene. Sono troppo anziano. Vorrei tornare libero. Ho scritto al giudice, ma ancora una volta la risposta è stata negativa».

IL RITRATTO
Classe 1937, un passato da barbiere, il detenuto avrebbe compiuto ottanta anni il 13 agosto. E gli acciacchi dell'età si facevano sentire. Soffriva di artrosi e psoriasi, mal di testa, e la schiena era sempre più curva. Una perizia anni fa aveva escluso che fosse incapace di intendere e di volere. Ma non riusciva a rispettare gli arresti domiciliari, nella sua casa a Monte Mario alta. L'anziano imboccava la porta e scappava e una volta fuori rubava biciclette. Gli arresti per evasione così si alternavano a quelli per furto. Aveva più di trenta precedenti accumulati in pochi anni quando nell'ottobre del 2015 è finito in carcere senza più uscirne. Per i giudici il rischio di reteirazione del reato era troppo alto.
Non amava il ciclismo, di Bartali e Coppi sapeva poco o nulla. Lui amava le biciclette. Sapeva riconoscere a volo quelle più preziose. Smontava le catene che le assicuravano in genere ai pali stradali e se le portava via quasi sottobraccio. Solo che dal centro alla periferia era ormai conosciuto, così, ogni volta che veniva notato in atteggiamenti sospetti o con bici e pezzi di ricambi tra le mani, finiva arrestato. E allora si era piegato a rubare pure caschi e a svuotare bauletti dei motorini. Eppure il vizio parziale di mente nel 2013 aveva riconosciuto l'incompatibilità col carcere. L'avvocato Tranquilli l'aveva scritto: «L'indagato ha impulsi psichici irrefrenabili. Che la moglie, più anziana di lui, non riesce a contenere». Chiedeva qualche ora di libertà al giorno per mettere un freno alle evasioni. Ma poi l'anziano non si sapeva regolare con gli orari. Sentiva i rintocchi delle campane.

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