In un comunicato, il procuratore generale della Corte d'appello, Giovanni Salvi, ha spiegato che la misura di prevenzione era stata applicata sulla base della «pericolosità qualificata, cioè derivante da vincoli mafiosi, di Diotallevi fino al 1982, per i suoi rapporti con Cosa Nostra e altre organizzazioni mafiose, e per il periodo 2009-2013». Una pericolosità che sarebbe stata riconosciuta. I giudici, però, hanno sottolineato come «la posizione di Diotallevi fosse marginale nel contesto della criminalità romana, nonostante il permanere di rapporti con esponenti della stessa».
Per questo motivo, è stata esclusa «la pericolosità sociale». Per Salvi «vi è ampio spazio per ricorrere in Cassazione» contro la decisione della Corte. I beni in questione valgono centinaia di milioni di euro. Comprendono quote societarie, immobili di lusso, compresa una casa a Fontana di Trevi, appartamenti a Olbia e in Corsica, conti correnti e opere d'arte.
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