Stupro a Roma, la difesa impossibile del bengalese: «Non l'ho violentata, era d'accordo»

Stupro a Roma, la difesa impossibile del bengalese: «Non l'ho violentata, era d'accordo»
di Adelaide Pierucci
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Mercoledì 13 Settembre 2017, 08:24 - Ultimo aggiornamento: 14 Settembre, 09:23

«Non l'ho aggredita, abbiamo avuto rapporti sessuali ma lei era d'accordo». Khan Salam nega ogni accusa, anche davanti all'evidenza del referto medico, che freddamente riassume la notte di orrore vissuta venerdì a Roma dalla giovane finlandese: gli ematomi, i chiari segni dello stupro e quel dolore profondo che non si rimarginerà come le ferite. «Ho avuto paura di morire», ha raccontato, in lacrime, alla polizia, la ragazza aggredita venerdì notte a due passi dal centro. Il bengalese di 23 anni, accusato di violenza sessuale, rapina e lesioni, ieri ha tentato di difendersi davanti al gip che invece ha convalidato il fermo e dispoto la misura cautelare in carcere. Ha sostenuto che tra lui e la turista era iniziato tutto al Yellow bar, il locale di via Palestro, vicino alla stazione Termini, dove entrambi avevano trascorso la serata. Ma la ricostruzione della procura è molto diversa e descrive quell'insospettabile che tutti, fino a sabato, ritenevano un bravo ragazzo, vittima di «insani istinti sessuali». La ventunenne, residente presso una famiglia romana per la quale faceva la baby sitter, è stata minacciata e colpita con una pietra.
IL PROVVEDIMENTO
Per il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il pm Cristiana Macchiusi, l'uomo avrebbe agito con premeditazione. Quando si è accorto che il taxi chiamato dalla ragazza non arrivava e che lei, ha visto davanti sé una potenziale vittima e ha pensato di offrirle un passaggio. «Un disegno criminoso», scrive la procura, perché Saddam non ha la patente né la macchina. Avrebbe proposto alla turista, in attesa davanti all'ingresso del locale, un passaggio con un solo obiettivo, ben chiaro, senza farsi scrupoli davanti alla buona fede di lei e approfittando della sua fiducia. Usciti dal locale, l'uomo, scrivono i pm, «abusava ripetutamente della vittima, minacciando che l'avrebbe colpita con una pietra se non avesse ceduto, circostanza che avveniva, passando alle vie di fatto quando la ragazza cercava di sottrarsi agli insani istinti sessuali». La procura sottolinea l'«estrema pericolosità» dell'indagato che ha portato a segno «lo scellerato disegno criminoso» nonostante alcuni testimoni lo abbiano minacciato di chiamare la polizia.

L'INCHIESTA
«Ci eravamo baciati dentro il locale e quando siamo usciti abbiamo continuato. Non ho violentato nessuno», ha sostenuto ieri davanti al giudice. «È vero che abbiamo avuto rapporti sessuali, ma lei era d'accordo». Così Saddam ha respinto le accuse. La difesa, però, è smentita: i referti medici confermano i segni della colluttazione: ferite dovute ai morsi e ai calci, oltre a quelli della violenza sessuale. Poi ci sono le testimonianze degli amici della vittima, che hanno negato qualunque approccio tra i due all'interno del Yellow bar. Infine la denuncia della stessa ragazza «Ho avuto paura di morire, mi diceva se ti muovi ti ammazzo», ha raccontato alla polizia.
Gli amici, che avevano trascorso la serata nel locale con lei, hanno riferito agli uomini della Squadra Mobile di avere notato gli approcci del bengalese sulla giovane studentessa, mentre i due si allontanavano per raggiungere l'auto con la quale lui si era offerto di accompagnarla. «Lei lo respingeva», hanno detto a verbale. E agli atti c'è anche la testimonianza di una coppia, attirata dalle urla della giovane vittima, che dalla finestra ha intimato a quell'uomo di lasciare in pace la ragazza, minacciandolo di chiamare la polizia. Cosa che poi effettivamente avvenuta.
Sono due le richieste di soccorso arrivate alla centrale. Un passante, un uomo italiano, avrebbe dato i primi soccorsi alla giovanissima finlandese, picchiata e lasciata per strada dal suo aggressore. Sollecitando di nuovo l'intervento delle volanti.
Sono bastate poche ore e gli uomini della mobile erano già sulle tracce di Saddam, che la sera di venerdì, come molte altre, aveva trascorso il suo tempo nei locali della zona. Quando la polizia lo ha fermato, sabato sera, nel locale vicino a via Veneto dove lavorava in cucina, il bengalese, in Italia dal 2014, con un permesso di soggiorno in tasca per motivi umanitari, ha negato ogni addebito, sostenendo di non essere stato lui e di non sapere nulla di quella donna. Ma le prove erano già in mano agli inquirenti e la ragazza aveva già riconosciuto il suo volto sulla foto archiviata all'Ufficio immigrazione. Ieri ha cambiato versione.