Una sorta di balletto, prima dell’opera vera e propria. E data l’ora e il tempo impegnato a buttare giù il documento, si deduce che si sia trattato di una decisione sofferta: segno inequivocabile che all’interno dei sindacati Cgil, Fials e Libersind c’è stata e c’è una profonda spaccatura. Del resto la scelta di non disertare la buca stasera vuol dire molto. Significa non soltanto salvare un allestimento prestigioso diretto da un Maestro che ha sempre dimostrato di avere a cuore le sorti del lirico. Ma significa anche scongiurare la liquidazione della Fondazione, annunciata dal sindaco all’inizio delle agitazioni. Ieri notte in ballo c’era il futuro, non soltanto le cinque repliche in cartellone.
La linea ferma del sovrintendente quindi ha pagato: il Teatro dell’Opera resta aperto con Fuortes, al lavoro sul piano di rinnovamento della legge Bray, il rilancio di Caracalla, un aumento dei titoli. E le maestranze alle prese con una ristrutturazione che prevede un ridimensionamento dell’organico con 65 tra pensionamenti e prepensionamenti, nessun taglio agli stipendi, ma un aumento della produttività. Partendo da 160 alzate di sipario l’anno contro le 280 della Scala di Milano e le 180 del San Carlo di Napoli. Ma nella confusione di ieri e nel salvataggio in extremis resta comunque il fatto inquietante che lirico romano (ma pensiamo anche agli spettatori che hanno pagato un biglietto, costoso) a poche ore dall’alzata di sipario era in mano a un gruppo di sindacalisti che non rappresenta la totalità delle maestranze. Riuniti per ore ieri pomeriggio, i rappresentanti dei ribelli avevano diffuso un primo comunicato: si riservavano ogni valutazione e chiedevano al sovrintendente «di non sottrarsi al confronto». Mentre al sindaco di Roma Marino veniva chiesto «senso di responsabilità». Poi si sono riseduti a un tavolo. E la discussione è ripresa. Ci si augura, per l’ultima volta.
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