Roma, a Monte Sacro un bunker della II guerra mondiale nascosto da un giardino

Roma, a Monte Sacro un bunker della II guerra mondiale nascosto da un giardino
di Luca Lippera e Laura Larcan
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Mercoledì 25 Gennaio 2017, 08:28 - Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 20:26

Attraversa il ventre della collina sotto il Parco Simon Bolivar per ben centoventisette metri, completamente rivestita di mattoncini, in buono stato di conservazione. Nonostante i suoi 74 anni di vita. Siamo nel quartiere di Monte Sacro, a poche decine di metri da piazza Sempione, il cuore di un rione che svela ora nuovi capitoli nella storia del Novecento.

 

È qui, infatti, che è stata identificata una monumentale galleria antiaerea, un ricovero popolare progettato tra il 1942 e il 1943 per garantire la salvezza dai bombardamenti a ben 1.500 persone. Aveva in origine tre ingressi, ma l'unico attualmente rintracciato (a ridosso della via Nomentana) ha poco di storico perché utilizzato come magazzino-officina privata. Ed è da qui che ieri mattina è partita la prima esplorazione del sistema sotterraneo alla presenza della presidente del III Municipio Roberta Capoccioni, insieme allo staff tecnico e ai vigili. A guidarla, gli esperti speleologi del Centro ricerche speleo archeologiche Sotterranei di Roma. Documenti d'archivio alla mano, tra disegni e mappe, la verità sulla galleria rifugio è cominciata a riaffiorare. Come spiega Lorenzo Grassi dell'équipe di speleologi, «questa architettura ipogea è concepita per essere un'opera permanente, ampia, lunga, carrabile, attrezzata. E fa parte di un sistema di altre tredici gallerie, tasselli di una rete sotterranea scavata in vari quartieri della città». A volerla fu Benito Mussolini, quando nell'inverno del 42, la guerra incombeva e Roma rischiava di entrare nel mirino dei bombardieri Alleati e lo Stato si rese conto che la protezione antiaerea era insufficiente. Insomma, era l'ultimo tentativo estremo di dare salvezza ai romani. Ma la storia di oggi ha un'altra piega.

I COMITATI
Il monumento è salito all'onore della cronaca nelle ultime ore, mobilitando in prima linea i comitati di residenti del quartiere, perché fortemente legato alle sorti del sovrastante giardino Simon Bolivar. Il motivo, che è anche la ragione della scoperta della galleria antiaerea, sta tutto nella natura del suolo del parco e sullo spettro di un rischio di dissesto idrogeologico. Il prestigioso polmone verde del quartiere è, infatti, chiuso da un anno in seguito al crollo rovinoso di un albero nel febbraio del 2016. All'epoca era partito un appalto per la cura del verde dell'area, ma il cantiere s'è arenato per verifiche sulla sicurezza del sito. Il sopralluogo di ieri doveva stabilire se la volta dei cunicoli è abbastanza solida per sopportare i lavori che vanno fatti in superficie. «Sono stati abbattuti alcuni alberi e ora bisogna sostituirli - dice Simona Sortino, 40 anni, presidente del Comitato di Quartiere della Città Giardino - Il parco, il più importante della zona, luogo del famoso apologo di Menenio Agrippa, è chiuso dallo scorso febbraio. Bisogna restituirlo ai cittadini. Ora si tratta solo di stabilire una volta per tutte se la volta del rifugio è in grado di reggere il peso dei macchinari che vanno utilizzati in superficie. Il primo esame ha detto che il terreno è stabile e che non sono crepe. Ma al sopralluogo mancava un rappresentante del Dipartimento Ambiente del Comune. Quindi bisognerà tornare sul posto. Speriamo che si faccia presto, perché gli abitanti aspettano la riapertura del parco da troppo tempo».
Per la mini-sindaca Capoccioni la galleria è in buono stato: «Ad una prima vista sembrerebbe si possa escludere che eventuali problemi di dissesto idrogeologico possano dipendere dal cedimento della struttura in quanto appare perfettamente integra». Da quanto precisa, appena sarà pronta la relazione tecnica, il Servizio Giardini potrà riprendere i lavori nel parco. Quanto alla galleria antiaerea, la Capoccioni «vuole vederci chiaro». Tradotto: verificare a che titolo lo spazio storico è stato fin qui utilizzato. «In futuro, questi spazi potranno essere fruibili anche al resto della cittadinanza». Magari, come suggeriscono gli speleologi, diventando un esempio di museo diffuso della memoria della Seconda Guerra Mondiale.