Al Teatro San Genesio il reportage fotografico sui piccoli rifugiati siriani del campo profughi Za’atari

Foto di Nariman
di Sabrina Quartieri
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Sabato 27 Maggio 2017, 11:15 - Ultimo aggiornamento: 20:43
Negli ultimi tre anni la francese Agnes Montanari ha insegnato fotografia ai bambini e ai ragazzi siriani rifugiati nei campi in Giordania. Oggi, sabato 27 maggio, gli scatti realizzati da lei e dai suoi giovani allievi arrivano al Teatro San Genesio di Roma per raccontare, fino all’8 giugno, l’esperienza e il progetto dal titolo "Inside Za'atari - Starting Over". Una mostra fatta di immagini, ma anche di illustrazioni dell'architetto romano Fabio Barilari, che ha sposato l’idea di Agnes. La fotografa ha condiviso diverso tempo nel campo, incontrando Khaldiye, una ragazza di 17 anni, Yunis, di 18 e molti altri ancora, attraverso le classi organizzate da l'ong Save the Children. Quando li ha conosciuti, questi giovani erano appena arrivati a Za’atari.
 
 


Durante la sua permanenza nel campo, la documentarista francese ne ha condiviso gioie e disillusioni, problemi e aspettative tradite, ma soprattutto ha testimoniato la trasformazione della percezione dei ragazzi rispetto a quello che stava accadendo. Luoghi come Za’atari sono a tutti gli effetti future città e l'idea che queste strutture siano provvisorie scompare quando ci confrontiamo con i numeri: la permanenza media in un campo profughi è stata calcolata di circa 17 anni; il numero di persone che ci vivono si avvicina a 60 milioni, ovvero una ogni 122 esseri umani, secondo le indicazioni più recenti delle Nazioni Unite. Ecco che allora con Agnes e Fabio il campo viene narrato nella sua duplice essenza di casa temporanea e permanente.

Già nel 2013 Za'atari è diventato infatti la quarta città della Giordania per estensione e numero della popolazione. Aperto nell’agosto del 2012, il campo ad oggi ha accolto fino a 130mila rifugiati scappati dalla guerra civile esplosa in Siria. Attualmente ne conta 80mila, di cui oltre la metà sono minorenni. Ed è a loro che Agnes ha dedicato il proprio tempo, condividendo ciò che più la appassiona: «La fotografia è sì un mezzo per comunicare,  ma anche un modo per permettere ai bambini di riappropriarsi della fiducia in se stessi, superando la condizione di vittime. Da un punto di vista terapeutico, questo vuol dire poter sostituire le immagini del trauma con altre positive che loro stessi hanno creato. È anche più facile esprimersi quando non si devono usare le parole. Le foto possono apparire il ritratto di quello che ci circonda, ma in realtà dicono molto di noi stessi», spiega la professionista francese.

Con l’obiettivo di dare risposte a cosa significhi per un adolescente lasciare il proprio Paese, diventare un rifugiato e vivere in un campo la propria giovinezza, la mostra racconta così storie personali e luoghi di Za’atari, per sensibilizzare e diffondere la conoscenza di questa realtà. Un’esposizione che è stata resa possibile grazie a Fabiana De Rose, al Vitala Festival, al Teatro San Genesio e al Goethe-Institut. L’ingresso è gratuito, ma si potrà accedere solo nelle ore pomeridiane, previo appuntamento. Per info: 347 8248661; wonderwallenter@gmail.com.







 
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