La rapina di Guidonia/ Se per l’agente eroe scatta l’accusa di omicidio colposo

di Paolo Graldi
4 Minuti di Lettura
Giovedì 15 Giugno 2017, 00:56
In tempi di rapine che furoreggiano tra la giovane malavita d’assalto diventa difficile, pericoloso reagire alla mano armata dei banditi. Per lo meno si rischia l’incriminazione. È il caso dell’assalto al portavalori di un supermercato, l’altra mattina a Guidonia.

Un poliziotto fuori servizio assiste all’azione di due incappucciati, pistole in pugno (erano finte, ma senza tappino rosso) che strappano la borsa con l’incasso al malcapitato cassiere, inseguito e speronato e malmenato. L’agente segue la scena da una trentina di metri, estrae l’arma d’ordinanza, grida «Fermi, polizia!». 
Quelli fanno per sparargli e lui li colpisce con tre colpi, una scarica. Uno muore sul colpo, l’altro ha un polmone trapassato, ce la farà. Ed ecco che due Pubblici ministeri di Tivoli contestano «l’eccesso colposo dell’uso legittimo delle armi», forse un atto dovuto dal sapore di paradosso. 
Si insinua che il poliziotto dovesse sparare alle gambe del rapinatore e non al torace facendo credere che da trenta metri poteva benissimo non indirizzare il proiettile sul bersaglio grosso. 
Da quella distanza, con una pistola puntata contro, evidentemente per fargli la pelle, l’agente avrebbe dovuto comportarsi come in una gara di tiro a segno nazionale dove le pistole di precisione sparano da venticinque metri, da fermi, su un bersaglio fisso e non contro un incappucciato che si agita per aprirsi una via di fuga.
Una perizia stabilirà la traiettoria del proiettile per misurare quella ipotesi di “eccesso” che il legislatore ha ricamato all’interno di una legge che si vuole modificare e che continua, Lega di Salvini all’arrembaggio, a fomentare infinite polemiche. 

E si torna a disquisire, appunto, sul confine tra la difesa legittima e il suo debordare in un eccesso che il ralenti del film delle indagini, a tavolino, stabilirà in tutta calma.
E così, mentre il poliziotto forse si chiede con stupore e amarezza se non fosse stato il caso far finta di niente e di cambiare strada alla vista dei rapinatori, la querelle si sposta a Pisa dove un altro uomo è stato colpito a morte da un gioielliere. 

Anche qui ballano le ricostruzioni, le versioni traballano. Daniele Ferretti, 69 anni, negozietto a tre chilometri dalla Torre, suo malgrado può considerarsi un esperto in materia: plurirapinato, l’ultima nel gennaio dell’anno scorso, nel ’99 ferito gravemente, un mese in rianimazione. 
«Ci siamo difesi. Sono stati loro a sparare per primi verso mia moglie. Io ho reagito. I bossoli sono a terra». Otto bossoli, sei quelli dell’arma di Ferretti, due sparati dal bandito. Il punto chiave: «Ha sparato prima lui». Insomma: «Mi sono solo difeso». Precisa che uno dei due ha minacciato la moglie. Dal retrobottega con la pistola in pugno è spuntato Ferretti: basta, smettetela. 

Ma, freddissimo, il rapinatore ha sparato contro la moglie, mancandola. Poi ha sparato il gioielliere. Lo ha colpito a morte, sul colpo. Trafitto al torace. Come sia veramente avvenuta la sequenza lo diranno le indagini, ovviamente. Sequestrati e visionati i filmati delle telecamere di sorveglianza, l’autopsia darà altre risposte, i rilievi della Scientifica dei carabinieri chiariranno altri dettagli. 
Per ora c’è l’iscrizione, atto dovuto, nel registro degli indagati: omicidio volontario dell’uomo, 44 anni, uscito dal carcere da pochi mesi, stessi reati sulla fedina penale.

La polemica politica, mai sopita e in attesa che la legge rivista e ritoccata dal voto della Camera passi all’esame del Senato, riceve nuovo vigore dai fautori di chi vede la legittima difesa sempre e comunque, senza se e senza ma. Salvini non ha aspettato un attimo per solidarizzare con il gioielliere di Pisa e per tutta la giornata nei talk show la linea di condotta leghista è risuonata versus qualsiasi argomento di analisi giuridica. «La difesa è sempre legittima», ripetono gli oratori ospitati in tv e si capisce che i fatti di sangue forniti dalla cronaca andranno a rinfocolare il dibattito a palazzo Madama. Non si sa quando se ne tornerà a discutere, sperando in un voto definitivo. 

È tuttavia probabile che la carica dei Lumbard risuonerà ancora su un testo di legge che molti hanno definito confuso, scritto male, esposto a contraddizioni e a interpretazioni ingannevoli. A sinistra viene difesa la legge così com’è perché resta, si dice, all’interno della nostra civiltà giuridica e della Costituzione e in più irrobustisce il concetto di legittima difesa. 

Si tornerà certamente a discutere minacce degli intrusi in casa di giorno piuttosto che di notte, di ombre e di luci, di tramonti e di crepuscoli, di intenzioni violente solo pensate o anche messe in atto. Lo scontro è e resta frontale, mille le sfumature che segnano confini labili e soggetti a dare al magistrato inquirente una ampia discrezionalità. 

E’ proprio la discrezionalità, spesso venata di interpretazioni dissimili tra le diverse sedi giudiziarie, a dare carburante alla polemica. Un dato resta fermo e per una volta non soggetto a interpretazioni: le rapine a mano armata contrassegnano con sangue la vita civile del Paese, spargono morte ma anche una profonda e diffusa insicurezza. Consola che i rapinatori siano quasi sempre conosciuti per i loro precedenti. Ecco: sono quasi sempre gli stessi. E questo va molto meno bene.
© RIPRODUZIONE RISERVATA