Acqua Acetosa, quella fontana che «curava» il Papa

Acqua Acetosa, quella fontana che «curava» il Papa
di Fabio Isman
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Domenica 12 Novembre 2017, 09:34 - Ultimo aggiornamento: 09:46
Le virtù terapeutiche di quell'acqua, le aveva scoperte Paolo V: quello che vuole la facciata di San Pietro, amplia il Quirinale, porta a Trastevere l'acqua corrente, inizia a costruire la villa con il cognome di famiglia, e tantissimo altro; fa anche insegnare l'ebraico a Roma, da un frate, Mario da Calascio. Dunque, l'acqua, «con consiglio dei medici, fu raccolta in un bottino» da Camillo Borghese, spiega Fioravante Martinelli, dotto letterato italiano del Seicento. Nel 1567, le sue doti erano già magnificate in un volume di Andrea Bacci, stimato docente d'allora. Giovanni Vasanzio realizza la prima fontana. Poi ingrandita da papa Innocenzo X, Giovanni Battista Doria Pamphilij; e infine, trasformata da Alessandro VII Chigi nel monumento che si vede ancora. Ma, ormai, l'Acqua Acetosa è sotto il livello stradale: su una via di scorrimento (si passa di corsa in macchina, nella fretta di andare al lavoro, o tornarsene a casa), nell'area oggi dedicata ai campi sportivi; e la sua storia è stata alquanto dimenticata.

LE VIRTÙ
I romani dei secoli andati, andavano a compiervi una passeggiata; nel 1608, la Camera Apostolica nomina perfino un Custode della sorgente: il primo, per i più curiosi, è Pietro Paolo Quarteri. La lapide del 1613, dice che giova tra l'altro «ai reni e allo stomaco, alla milza, il fegato, e a mille mali». Delle virtù taumaturgiche, insomma; quasi soprannaturali, o divine. Qualcuno giura che, fino a metà Novecento, era «tra le migliori acque litiche della Penisola». C'erano anche gli «acquacetosari»: la prelevavano per venderla, con un carretto, in città. E si dice che il luogo abbia propiziato la storia d'amore tra il futuro re Ludwig I di Baviera (si sposò nel 1810, e per la prima volta si celebrò l'Oktoberfest) e la marchesa Marianna Florenzi Waddington, figlia del conte Bacinetti di Ravenna: durante la vita, gli spedì 3.000 lettere; ma la ragion di Stato non voleva. Sotto uno dei due sedili resta ancora un'iscrizione: dice che Ludwig, ancora principe, ha voluto le panchine e gli alberi.

VIALE SPARITO
L'attuale fontana è stata progettata da un pittore, Andrea Sacchi, su disegni di Marcantonio Rossi; c'è chi invoca il nome di Bernini, ma è un errore, sorto dalla didascalia di un'incisione di Giovanni Battista Falda, 1665, e dalle similitudini con il coronamento di Porta del Popolo, restaurata appunto da Bernini dieci anni prima, per l'arrivo di Cristina di Svezia. Ma Marcello Fagiolo spiega che in quel secolo, il monumento di Alessandro VII era diverso. Vi era compreso un viale lungo 180 metri, con 122 gelsi e olmi, alcuni a circondare la fontana dalle tre bocche: lo documenta un disegno in un chirografo papale del 1662. E il «sacello» acquatico, ispirato palesemente agli antichi templi pagani con il suo «deambulatorium», assomiglia pure al piano regolatore di San Martino al Cimino, città ideale voluta dall'odiatissima «Pimpaccia», Olimpia Maidalchini, cognata di Innocenzo X Doria Pamphilij: lo delinea lo stesso De Rossi, il cui figliolo Mattia era l'allievo prediletto di Bernini; e questi, a San Martino lavora. Oggi vediamo solo una breve scalinata, tre polle in altrettanti archi, una lapide con la memoria degli alberi e dell'ombra spariti. Uno speciale editto tutelava la fontana.

L'ABBANDONO
Ma già nel 1712, sappiamo che la polla si era impoverita: lunghe code di chi voleva bere, o prelevare l'acqua. Pure peggiorata la sua qualità. Una commissione apposta, con cardinali e l'archiatra Giovanni Maria Lancisi, e nuove opere: anche per salvare dalle inondazioni il luogo, dotato perfino di idrometri che dessero l'allarme. Un'altra epigrafe, di Clemente XI Albani, lo testimonia. L'ultimo acuto sono le due esedre di Ludwig; e a bere ci va anche Goethe, che lo scrive. Nel 1959, la fonte è chiusa. La salva, restaurandola, la Società Cannottieri Aniene. Nel 2003, ha vinto il titolo dei «Luoghi del cuore» del Fai, il Fondo Ambiente italiano. Ma del remoto «tempio» boscoso, ci resta ormai davvero assai poco: solo il ricordo.