Foro, il museo della scultura all’aperto

Foro, il museo della scultura all’aperto
di Fabio Isman
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Venerdì 21 Ottobre 2016, 22:02
Prima si chiamava "Mussolini" e ora "Italico". Espropri anche dai Savoia. Doveva avere pure un colosso del duce

LA STORIA
Il Foro Italico è tornato recentemente alla ribalta, per la scoperta di due studiosi: un testo latino di 1.200 parole, sepolto sotto il suo obelisco; un panegirico del duce e del fascismo, a futura memoria. E allora, vediamo come è nato e cerchiamo di ricostruirne qualche segreto. Dal 1927, sono espropriati (anche a qualche Savoia) 287 ettari di verde, a prezzi bassissimi; 64 verranno occupati dalla Città dello Sport, il Foro Mussolini. L’anno dopo, il piano regolatore di Enrico Del Debbio. L’opera più importante doveva essere un colosso: Ercole di Nemea con le sembianze di Mussolini, che, sulla collina di Monte Mario, sormontasse il museo del regime; quel faccione immenso viene fuso in pezzi, in varie fucine del Paese: ma, per fortuna, le sanzioni gli faranno mancare la materia prima, e non sorgerà mai. Come un altro progetto: uno stadio da 400 mila spettatori, il più grande al mondo, immaginato da Luigi Moretti.

COLOSSALE
Ma anche senza questi elementi, il tutto è colossale: una delle «città funzionali» create dal fascismo nell’Urbe, con quella universitaria e il Policlinico che ne è emanazione. Dieci anni per costruirlo. Prima pietra il 5 febbraio 1928; ultimi edifici nel 1938. E alcuni, anzi, dopo la guerra: il ministero degli Esteri, la Farnesina, doveva essere la Casa del Littorio; è compiuta nel 1956. E ancora aggiunte, come vedremo, sorgeranno per le Olimpiadi del 1960. Del primo lotto, fanno parte anche due stadi: quello dei Cipressi, che diverrà l’Olimpico, e quello dei Marmi, ancora di Del Debbio, circondato da 64 statue alte quattro metri, offerte ognuna da una provincia, ed eseguite sotto il controllo di un artista. L’Ercole, donato da quella di Roma, ad esempio, è di Silvio Canevari. Gli aquilani regalano lo Sciatore; i livornesi il Nuotatore; i senesi il Discobolo. In tribuna, due coppie di Lottatori in bronzo di Aroldo Bellini: a una mostra a Perugia, all’Accademia fino al 9 ottobre, esposti gessi, bronzi e disegni preparatori. Il tutto, è una sorta di museo all’aperto della scultura italiana d’allora, e un inno alla buona salute e ai dettami sportivi; pare un’opera di De Chirico, ed è suggellato dall’Accademia di Educazione fisica, sempre di Del Debbio, voluta dall’Opera Balilla che era nata da due anni, e possedeva quei terreni: è il primo degli immobili innalzati nel Foro.

ALTRI CAPOLAVORI
Di Costantino Costanini l’immenso obelisco, del 1932, alto 36 metri e proveniente da Carrara; e simmetrici al primo le Terme e l’Accademia di musica, sempre sue. Tra gli edifici, il piazzale dell’Impero (di Moretti, 1937), di 3.250 metri quadrati: tutto lastricato da mosaici bianchi e neri, parte di Gino Severini, richiamato apposta dalla Francia, per i buoni uffici di Cipriano Efisio Oppo. Poi, la Fontana della Sfera (del diametro tre metri, architetti Pediconi); lo Stadio del Tennis (già Mussolini, di Costantini); le più importanti date del fascismo, su blocchi di pietra, ai lati del piazzale già dell’Impero; e l’opera più elegante, la Casa delle Armi di Moretti (spiega Giorgio Muratore: «Un capolavoro dell’architettura mondiale»), sopra cui era una Colonia elioterapica. E di fronte, sempre assai vicino al Borghetto di Prato Falcone, che preesisteva dagli Anni 20, era di Edda Ciano, la Foresteria, ancora di Del Debbio. La piscina coperta, e la palestra dello stesso duce. Per le Olimpiadi e i mondiali di calcio del ’90, l’Olimpico muterà volto; e le esigenze del campionato di calcio, e della sicurezza, faranno poi il resto.

LA PIETRA
Anima del tutto «è Renato Ricci, reduce fiumano, e perciò l’operazione pare alquanto dannunziana.
Per crearla, va in Germania, a vedere la Bauhaus. Conosce Costantini sugli sci e lo ingaggia. Del Debbio si era diplomato a Carrara, dove era nato anche lui, fondatore dell’Opera Balilla, che aveva sposato la figlia del capo dei cavatori. E impone proprio quella pietra, come per il Vittoriale Giuseppe Zanardelli aveva voluto il botticino della sua Brescia. E l’obelisco con ancora su scritto “Mussolini dux” non è stato demolito solo perché era protetto da cavalli di Frisia: era infatti, a guerra finita, un acquartieramento di soldati americani», conclude Muratore.
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