DAL 1200 IN POI
Non si sa esattamente quando questo sia iniziato. Forse nel Duecento, e in Dalmazia. Si sa di un rito dei Battuti a Zara nel 1216. Nel 1439, i francescani l'avrebbero fatto proprio. Ma è solo verso il 1500 che inizia l'esposizione solenne al pubblico del Sacramento, l'ostia consacrata. La prima volta, forse, a Milano: sant'Antonio Maria Zaccaria, che fonda i Barnabiti, o il cappuccino Giuseppe Piantanida, che predica il rito dal pulpito proprio mentre i francesi minacciavano la città. San Carlo Borromeo lo promuove in tutta la diocesi ambrosiana. Comunque sia, la pratica trova poi assai fertile «humus», logicamente, a Roma, la capitale dei papi, dove agli apparati per le feste pensava anche Bernini. L'ostensorio è esposto su un trono: nel punto più elevato dell'altare maggiore, oggetto di adorazione da parte dei fedeli. La pratica avviene nelle stesse ore della morte di Gesù: da venerdì pomeriggio alla domenica mattina; le chiese restano ovviamente aperte anche di notte.
L'ETÀ BAROCCA
Per l'occasione, l'altare andava preparato a dovere; e in alcuni luoghi, succede ancora, con particolare solennità. E va addobbato con fiori e luci. Sappiamo di Quarant'ore che sono organizzate nel 1546 a Bologna; quattro anni prima a Recanati; e nel 1548 a Roma. Il periodo più ideale per le sontuose «macchine delle Quarant'ore», s'intende, è l'età barocca. Nel 1632, Pietro Berrettini detto da Cortona, uno dei suoi maggiori esponenti, provvede a due apparati particolarmente doviziosi per le chiese di San Lorenzo in Damaso e del Gesù: serviva pure a distogliere i cittadini dalle dissolutezze del carnevale. Per la maggior parte, queste apparecchiature erano composte di materiali semplici da lavorare: legno, stucco e cartapesta. Così, non si sono preservate nel tempo: quando il rito si è trasformato nella sola adorazione continua del Sacramento, giorno e notte, ed ha perduto tutta la sua enfasi teatrale.
L'ULTIMA RIMASTA
Resta tuttavia intatta la «macchina» della chiesa della Madonna dell'Orto, a Trastevere. Ogni anno è rimontata e posta sull'altare, con le sue 213 candele e una struttura, effimera, ancor'oggi stupefacente. Nasce nel 1848, però su disegni seicenteschi; costruita, scrive l'archivista Nino Becchetti, su un disegno seicentesco con motivi floreali: «Superbo e artistico lavoro di legno intagliato dovuto allo scalpello di Luigi Clementi», costato ben 500 scudi «più 60 per l'indoratura in oro zecchino». Proviamo a capire: nel Seicento, un pranzo costava mezzo scudo; e 20 o 30 al mese ne percepiva un funzionario pontificio. Ora, durante la «Missa in coena Domini» il giovedì santo, le 213 candele si accendono contemporaneamente, con un effetto che è senza pari. Fino all'anno scorso, la «macchina» restava esposta per 50 giorni dopo la Pasqua; ma da quest'anno non più: «Era una forzatura», dice Domenico Rotella, Camerlengo dell'arciconfraternita della chiesa. Quindi, è meglio segnarselo in calendario: un apparato assolutamente magnifico, ma solamente per 40 ore. Quelle sante.
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