Le ore “matte” del Monte dei Pegni

Le ore “matte” del Monte dei Pegni
di Fabio Isman
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Venerdì 21 Ottobre 2016, 21:58
Il costruttore dell'orologio dell'edificio nel rione Regola fu pagato poco e falsò i congegni

LA STORIA
Nella capitale dei papi, il Monte di Pietà, o dei Pegni, arriva tardi rispetto a altre città: appena nel 1539. Per qualcuno nel 1527. E, comunque, per combattere l’usura. La prima sede è ai Banchi vecchi; ma già nel 1585, Sisto V Peretti, per settemila scudi, acquista una nuova sede ai Coronari; presto, è anch’essa insufficiente alla bisogna.
Così, nel 1604, Clemente VIII Aldobrandini, che abolisce i giochi e divertimenti del Carnevale soppiantati da spettacoli coreografici «con croci, stendardi e immagini di corpi santi sontuosissimi», quello che manda al rogo anche Giordano Bruno, acquista due immobili vicino alla Trinità dei Pellegrini, già del cardinale Prospero Santacroce. Cui nel 1759 s’aggiunge un altro edificio, la «Casa Grande» dei Barberini, trasferitisi sul colle del Quirinale e la piazza che ancora ne reca il cognome, allora in periferia. La ricorda un cornicione ancora decorato con le api, il loro stemma, all’angolo con via dei Giubbonari. Poco dopo, i due edifici sono collegati da un cavalcavia, l’Arco del Monte.

IL PALAZZO
Per adattare l’immobile al nuovo uso, si chiamano celebri architetti. Cesare Maderno prolunga la facciata, che era di Ottavio Mascherino (costruttore della parte primigenia del Quirinale); Francesco Borromini ci mette la sua sapienza; Maderno e Giovanni Antonio De Rossi provvedono anche alla cappella.
Il Monte, infatti, era un’organizzazione che i religiosi amministravano, ed aveva anche ramificazioni in città. Gli Svizzeri vigilavano la sede, che vantava perfino delle succursali: i “rigattieri” autorizzati a ricevere dei piccoli pegni, fino a quattro scudi, che poi conferivano al Monte. Il quale, dal 1611, concedeva prestiti agrari fino a duemila scudi, e ai maggiori casati romani ingenti cessioni su pegno, al bassissimo tasso del due per cento.
In una parte dell’edificio si conservava il danaro, nell’altra gli oggetti in deposito. In facciata una targa e un’edicola disegnate da Maderno: Gesù nel sepolcro a braccia aperte, e gli stemmi di Paolo III Farnese, fondatore del Monte, e di Clemente VIII, acquirente dell’immobile, come ricorda anche la dicitura, «nell’anno della cristiana salvezza 1604». La facciata mostra anche una conchiglia, una bella fontana di Maderno con l’aquila dei Borghese e due draghi che erano pure nel loro stemma, a ricordo di Paolo V.

CURIOSITÀ
Al culmine della facciata, l’orologio, di fine Settecento, possiede una storia strana. Si dice che chi lo fece fosse poco contento del compenso. Avrebbe alterato i congegni e inciso due versi: «Per non esser state a nostre patte / Orologio del Monte sempre matte». La cappella è in cortile, rivestita di marmi policromi e decorazioni a stucco: un gioiello del Barocco assai poco conosciuto; un lavoro che è durato quasi un secolo, fino al 1731.
Prima la fa Francesco Paparelli, poi De Rossi, infine Carlo Francesco Bazzaccheri (ma rispettando il primo progetto). Rilievi e medaglioni in stucco dorato; statue religiose; bassorilievi; la cupola. E l’insieme è davvero abbastanza eccezionale.

SCANDALI E QUADRI
Il Monte fu al centro di uno scandalo nel 1857. Giampietro Campana, direttore generale per 25 anni (da quando ne aveva 25), è arrestato, condannato a 20 anni ed esiliato. Usava i fondi del Monte per rimpinguare la sua collezione d’arte, la maggiore del tempo, ora divisa tra l’Ermitage e il Louvre, con 300 dipinti di Primitivi ad Avignone.
Ne facevano parte tesori assoluti (come la «Regina vasorum» di Cuma, che è a San Pietroburgo, dipinta con i Misteri Eleusini, e alta 65 cm, tutta laccata); e di Campana era stato ospite pure Pio IX Mastai Ferretti, come ricordava un’epigrafe della villa al Celio, pure sparita: «Poiché al gran Pio di porre il piè non spiacque/ in questo all’arti sacro umil recesso/ a novello splendor tutto rinacque». Interi palazzi erano ricolmi dei suoi oggetti. Dopo l’Unità, i dipinti del Monte sono finiti tra quelli di Palazzo Barberini.
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