Quel monte dove il duce fu arrestato

Quel monte dove il duce fu arrestato
di Fabio Isman
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Martedì 3 Gennaio 2017, 21:06
A Monte Antenne, non cercate dei dispositivi in grado di trasmettere o captare le onde radio: il nome, assai antico, discende da «ante amnes», davanti ai fiumi, e segnava la confluenza nel Tevere del suo secondo affluente, dopo la Nera, cioè l'Aniene, che nasce sui monti Simbruini. Per di qua transitarono le Sabine prima del ratto, e Carlo Magno per farsi incoronare nell'800; v'è traccia di insediamenti arcaici, dell'VIII secolo a.C.. E per di qua passa la più antica via consolare romana, la Salaria. E' anche il luogo del secondo parco, oggi a Roma, per grandezza: quello di Villa Ada poi Savoia e di nuovo Ada, residenza reale e dove, il 25 luglio 1943, venne arrestato Mussolini.

LA GENESI
In origine, c'erano tre vigne: di tal Natale Saliceti, di Domenico Calzamiglia, avvocato, e Michele Capocaccia. A fine Settecento, le acquista il principe Luigi Pallavicini. Il Casale Calzamiglia diventa la sua villa, poi quella dei reali; inoltre, tre «case di delizia» e altri edifici. Più «un bosco misto di delizia». Della trasformazione si occupa un architetto francese, «Prix de Rome» e quindi nell'Urbe; poi, Francesco Bettini, dipendente dal cardinale Giuseppe Doria Pamphilj: suo il belvedere settecentesco, che ancora c'è. Il Casino Saliceti resta visibile sulla Salaria; a fine Settecento c'erano anche un ingresso monumentale alla villa, un Tempio, una Piazza della Cavallerizza. Nel 1826, Pallavicini vende. E acquista Ludovico Potenziani, dal 1835 governatore della Banca Romana.

Ma il figlio, nel 1872, appena arrivato re Vittorio Emanuele II, gliela cede per 26 mila lire: diverrà senatore e principe. I Savoia comprano varie proprietà confinanti, fino a raggiungere i 160 ettari d'estensione. In sei anni, creano la Palazzina Reale (oggi l'Ambasciata d'Egitto), nominano direttore delle Ville e Parchi un orticultore di Amburgo; edificano, ovviamente, le scuderie. Il re riceve il tutto, ben sistemato, un anno prima di morire, a gennaio 1878. Ma Umberto I amava la reggia e il parco di Monza; così, vende (per 513 mila lire) al conte svizzero Giuseppe Telfner: è rinominata dal nome della moglie, Ada Hungerdorf. Passa poi all'amministratore della Banca Romana Bernardo Tanlongo, e forse voleva farne una speculazione edilizia, prevista dal piano regolatore del 1883. Ma immenso è lo scandalo della Banca, rimasta proprietaria della villa: nel 1904 i Savoia la riacquistano per 610 mila lire, dono del re alla moglie Elena.

ALTRI LAVORI
Nella prima guerra, è ospedale militare. Il trasferimento dal Quirinale è voluto dalla regina Elena. E vi sono migliaia di foto con principi e principini, su una nuova automobile, o agghindati alla marinara. Tante altre costruzioni. Un casale trasformato in Villa Polissena: nel 1925, la figlia Mafalda sposa Filippo d'Assia, il nome è a ricordo di una principessa del Settecento. Filippo crea anche il giardino della villa reale, all'italiana. E poi, querce dalla Sardegna, pini e cipressi piantati in luoghi strategici, peschiera e fontane, parterre ornati da statue con busti e sarcofagi dalla distrutta Villa Ludovisi. Altre novità nel 1935, quando diventa direttore Giuseppe Visconti di Modrone; nel «buen retiro» della regina pure una camera oscura per sviluppare le foto. Un bunker sotterraneo come difesa: lo si è ritrovato assai più tardi.

IL DOPOGUERRA
Mussolini vi è arrestato. Cade la monarchia: vari problemi d'eredità; un quinto, quello di Umberto I, è dello Stato; e il resto, delle sorelle, resta alla famiglia. Nel 1957 c'è l'ultima, consensuale, ripartizione: 64 ettari al Comune, e una parte privata; nel 1961 e 1987, i Savoia vendono a due società: una parte diventa Ambasciata d'Egitto, e un'altra resta agli Assia. Il Cairo acquista per 25 miliardi: né lo Stato, né il Comune esercitano il diritto di prelazione. La situazione attuale del complesso, oggi, non è certo tra le più invidiabili: tante accuse per la carente manutenzione d'uno spazio, storico e verde, tra i più importanti della città. Ed è un vero peccato.

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