L’ultima casa del deputato Garibaldi

L’ultima casa del deputato Garibaldi
di Fabio Isman
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Venerdì 21 Ottobre 2016, 22:05
L’eroe dei due mondi nella Capitale visse a via delle Coppelle: in parlamento le sue battaglie per difendere il Tevere

LA STORIA
L’Eroe dei due mondi, il generalissimo, insomma Giuseppe Garibaldi, si edifica l’ultima casa, sull’isola di Caprera, dal 1856. Vi si rifugia come in un eremo dopo che, nel 1862, i bersaglieri sull’Aspromonte ne hanno fermato il tentativo di conquistare Roma, insieme a duemila volontari, essere stato a Londra, aver combattuto nel Trentino la III Guerra d’Indipendenza, partecipato, accanto ai francesi, al conflitto contro la Prussia. Nel 1874, Roma lo elegge, nel primo Collegio, deputato. Ma anche in quella occasione, non mette nemmeno piede in città. Lo farà a gennaio dell’anno dopo, e una lapide a via delle Coppelle, nel 1882, ricorda perché: per «promuovere in Parlamento i lavori del Tevere». Al numero 35, lì è l’ultima residenza di Garibaldi a Roma. Non la vedeva da un quarto di secolo: da quando, nel 1849, aveva combattuto tentando invano di imporvi la Repubblica.

AL COSTANZI
Appena arrivato, però, va in albergo. In via San Nicola da Tolentino, al Costanzi: uno degli hotel di Domenico, colui che, approdato a Roma da Milano nel 1870, costruisce anche, investendo tutte le proprie risorse, il Teatro dell’Opera. Lo gestirà fino al 1928, quando è acquisito dal Comune. A Roma, Garibaldi arriva il 25 gennaio 1875; sbarca nelle prime ore del mattino a Civitavecchia da un piroscafo dei Rubattino (lo stesso armatore che gli ha fornito i due per la spedizione dei Mille in Sicilia), e arriva in treno a Termini. Di primo pomeriggio, lo attende una «folla entusiasta» che «lo acclama freneticamente», racconta un cronista. Il generale ringrazia: «Con voi, mi sento in famiglia; qui ci resto e ci vedremo ancora». E subito dopo, ammonisce: «Romani, siate seri, seri, seri e fermi». Il suo albergo è esistito fino al 1939: un palazzo di 5 piani con grandi finestroni sul verde.
Poi, l’architetto Ugo Giovannozzi lo trasforma nel Collegio germanico-ungherese, per il clero di quei Paesi che completi a Roma la formazione. Tra gli altri, lo hanno frequentato i cardinali Seper e Stepinac, il teologo Hans Küng. Però, i seminaristi ci si erano già insediati dal 1886; vestivano di rosso, e per questo erano detti popolarmente «gamberi cotti».

IN PARLAMENTO
Il giorno dopo, giura in Parlamento. Si toglie il berretto, e lo fa, accolto da un fragoroso applauso, con impeto: come «se avesse gridato “fuoco” ad una batteria». Sei mesi più tardi, presenta alla Camera il suo intento, che sposta l’Aniene e, con un «canale scolmatore», una deviazione, preserva Roma dalle piene del Tevere. Approvato all’unanimità. Vuole pure colmare gli stagni di Ostia e Maccarese; ridare alla città un porto sul fiume, quasi alla foce, collegato da una ferrovia. Il tutto è affidato a una Commissione. Prevede la spesa di 60 milioni. Ma già il 2 agosto, un giornale scrive della «fine del progetto». Non lo voleva il presidente del Consiglio, Marco Minghetti, dubbioso fin dalla primissima presentazione. Il disegno di legge Garibaldi, modificato, è approvato anche per merito dell’Eroe dei Due mondi. Ma, al suo, preferisce l’elaborato di Rodolfo Canevari, che vuole gli attuali «muraglioni» ai lati del fiume. Ed è polemica.

L’EROE RABBIOSO
Chi chiama «cardinali dell’ingegneria» quanti avevano votato contro Garibaldi; la minaccia di agitazioni di popolo. Il generale scrive articoli sui giornali; parla di «errori» del Consiglio superiore dei Lavori pubblici; chi non è d’accordo con lui, «discuta pubblicamente e ribatta le mie ragioni»; «la politica del silenzio e del mistero è la condanna di chi l’adotta»; «non siamo più ai tempi in cui l’infallibilità di nasconde nelle berrette dottorali».
Non si devierà, però, il Tevere da Castel Giubileo a Nord della città, fino a Pietralata e San Giovanni, per riunirsi al fiume soltanto dopo la basilica di San Paolo. Riempiendo il vecchio corso, salvo un breve tratto da ponte Sant’Angelo a Porta Portese, con un complicato sistema di chiuse. Cioè, del «biondo fiume», si sarebbe fatto un misero canale. Il generale è sconfitto. Fonda la Lega per la Democrazia, che vuole il suffragio universale; la confisca dei beni della chiesa e l’abolizione dell’esercito stanziale; si sposa con Francesca Armosino; muore a Caprera nel 1882.
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