L'egemonia mediatica di Roma. O di Milano?

L'egemonia mediatica di Roma. O di Milano?
di Pietro Piovani
2 Minuti di Lettura
Giovedì 8 Giugno 2017, 00:29 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 09:46
Esiste una serie tv o un film italiano in cui non
si parla in romanesco? #colonizzazioneculturale
@soter78


A Milano ci si lamenta della “romanizzazione culturale” del Paese. Il tema, antico quasi quanto la breccia di Porta Pia, viene rilanciato da un giornalista importante come Aldo Cazzullo. «Film, fiction, trasmissioni televisive - ha scritto pochi giorni fa sul Corriere della Sera - sono quasi sempre “pensate” a Roma, con mentalità, accenti, linguaggi romaneschi», mentre ci vorrebbe una «maggior rappresentanza delle culture e delle identità del Nord». Certo è curioso che la questione si riproponga proprio quando i due maggiori gruppi televisivi privati stanno trasferendo a Milano le loro redazioni giornalistiche. Gli stessi lettori del Corriere poi hanno fatto notare a Cazzullo che i film e le fiction, tra Montalbani, Savastani, preti umbri e suore di Modena, sono ambientati perlopiù in provincia, con il sostegno finanziario degli enti locali.

Il fatto è che agli italiani del Nord ha sempre dato molto fastidio ascoltare l'inflessione romana, e possiamo capirlo perché certe cadenze sforzate, sguaiate a volte risultano irritanti alle orecchie degli stessi romani. Fortunatamente però non succede il contrario, nel senso che i romani sono in genere ben disposti verso il milanese. E questo anche se il milanese ci sembra in espansione nei programmi tv e ancora di più nelle pubblicità. In un famoso spot una bambina diceva «già fatto» con una effe sola e a tutti sembrò simpatica: nessuno protestò per quel tratto fonetico tipico dei dialetti settentrionali (in italiano dopo “già” è obbligatorio il raddoppiamento sintattico). L'ammirazione che abbiamo per i padani è tale che ormai anche a Roma ci mettiamo a parlare in milanese, chiamando il pranzo “colazione” e il cocomero “anguria”. Nessuno denuncia mai la milanesizzazione culturale del Paese, e tutto sommato è meglio così.

pietro.piovani@ilmessaggero.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA