Gay Village, quella (lunga) strada dei diritti

di Marco Pasqua
2 Minuti di Lettura
Lunedì 5 Giugno 2017, 00:03 - Ultimo aggiornamento: 00:35
Imbrattata con insulti omofobi la campagna pubblicitaria del Gay Village 2017
@sulcismassi

Primo agosto 2002: a Testaccio, nell’ex Mattatoio, si inaugura la prima edizione del Gay Village. La legge sulle unioni civili è ancora un miraggio. Partecipare ad una manifestazione con quella parola inequivocabile (quel “gay” era un’etichetta di cui molti, anche tra gli omosessuali, si vergognavano) presupponeva una scelta di campo netta, che non tutti erano pronti a fare. Quel primo agosto, An si scagliava contro una kermesse giudicata “eccessiva”: «Ai residenti di Testaccio non piace essere identificati con questa tendenza, che tutto ciò che è gay è bello, confondendo tematiche sociali con privilegi e diritti», tuonava un consigliere municipale. Anno dopo anno, gli ideatori di questo evento hanno dovuto lottare per vedere affermato il loro diritto alla visibilità, tanto da avere problemi anche nel far approvare le campagne pubblicitarie: alcune, considerate inopportune, vennero rifiutate, anche dall’azienda dei trasporti.
Ma oggi il Gay Village, divenuto ormai luogo di incontro al di là degli orientamenti sessuali, è ancora importante? La risposta è nelle scritte apparse in queste ore sui manifesti pubblicitari, che ruotano attorno all’unicorno e ad un cavaliere che incita la folla all’ingresso in un posto libero e fantastico: “contro natura” e “diavolo”, secondo la manina omofoba che ha colpito in una fermata della metro. A distanza di 15 anni le conquiste della comunità Glbt sono state molte, ma per sconfiggere l’ottusa ignoranza di quelli che vorrebbero i gay rinchiusi negli armadi della vergogna, c’è ancora molta strada da fare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA