La città interrotta e il mondo impossibile

di Mario Ajello
2 Minuti di Lettura
Domenica 2 Luglio 2017, 00:05
«Strada interrotta». 
@seneca1900

Oppure linea interrotta. Metro interrotta. Circolazione interrotta. Insomma, basta sfogliare i social, e il lamento è sempre lo stesso: Roma interrotta. E se questo è ormai un singhiozzo. In altri tempi, difficilmente ripetibili purtroppo, è stato l’opposto: un grido di speranza culturale. Riandiamo al 1978. L’anno del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro. Lo stesso giorno in cui si svolgono i funerali dello statista democristiano, viene inaugurata la celebre mostra di architettura così intitolata: «Roma interrotta». Che fu una sorta di esplosione di carica utopica in totale controtendenza rispetto al contesto. Da una parte, la truce gravità ideologica degli anni di piombo. Dall’altra, la libera immaginazione di certa cultura che è già oltre. E che inaugura quel disimpegno post-moderno che vedrà l’Italia al centro del dibattito internazionale. Perché parlare ora di queste cose, di cui tratta tra l’altro Valerio Paolo Mosco, in un libro illuminante, «Architettura italiana. Dal postmoderno ad oggi» (Skira)? Perché in quella mostra, progettisti del calibro di Sartogo, di Portoghesi, di Rossi, di Dardi, di Rowe, di Robert Venturi, immaginarono di trovarsi nella Roma del 1748 e di ridisegnarla all’altezza del futuro. Superando duecento anni di storia, quelli della modernità, per far rinascere Roma da dove l’aveva lasciata Benedetto XIV, un pontefice a suo modo illuminista. Per progettare il possibile, bisogna pensare l’impossibile: questa è stata la sfida di allora. Oggi sembra impossibile pure il possibile.

mario.ajello@ilmessaggero.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA