Quel viaggio sul 63 nel disagio dei cittadini

di Mario Ajello
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Domenica 23 Aprile 2017, 00:05
«Diceva Alberto Sordi: Roma è un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi». 
@lucasoldini93

Albertone, naturalmente, non sbagliava mai. In punta di piedi Roma va attraversata, ma anche girarla in autobus è un’esperienza formativa. Lo dimostra un bel romanzo, «Autobus 63», appena scritto da Luigi Tivelli e pubblicato da Giubilei Regnani. Il pregio del libro è quello di fare cadere, attraverso i viaggi sentimentali del protagonista sulle varie linee del servizio pubblico urbano, una barriera. Quella che divide la Roma della politica e del Palazzo - Tivelli è un civil servant che per decenni ha lavorato a Montecitorio - dalla Roma delle persone normali, dalla città dei cittadini, dai luoghi della vita di tutti.

E’ stuzzicante il gioco interno-esterno, ossia le sortite e le peregrinazioni che partendo dall’interno di Montecitorio il protagonista - alter ego dell’autore - compie in giro per l’Urbe. Parlando con i compagni di viaggio del 63 e degli altri bus che prende, scendendo nel vivo della vita degli altri e nel disagio che gli viene raccontato dai romani al tempo della grande crisi italiana. Si dice sempre, e a ragione, che la politica è auto-referenziale. Stavolta, c’è lo sforzo letterario e civile di un abitante del Palazzo a gettarsi oltre gli ostacoli della separatezza che divide le due Roma. E sembra un viaggiatore in terre incognite, e perciò per lui particolarmente affascinanti, Tivelli in questo suo romanzo di formazione. Scritto da anziano. Ma pieno di una curiosità giovanile, che la politica non mostra mai di avere e perciò si è isolata nella propria Roma che non è la Roma degli altri.

mario.ajello@ilmessaggero.it
 
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