Referendum: Berlusconi, Bottura e quelle false promesse di auto-esilio

di Mario Ajello
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Giovedì 1 Dicembre 2016, 09:43
Almeno il professor Zagrebelsky, uno dir più agguerriti leader del No, si è limitato a dire che lascia l'insegnamento all'università se vince il Sì. Il che, tra l'altro, non è detto sia un danno non essendo Zagrebelsky un pensatore del calibro di Bobbio, che comunque qualcuno chiamava Bovvio. In ogni caso, a proposito di abbandoni post-referendari, quello annunciato da Silvio Berlusconi è il più radicale: «Se vince il Sì, vado via dall'Italia». Magari andrà in Africa a raggiungere Veltroni, anche se Walter - il quale voleva andare ad aiutare i bambini poveri - alla fine  è restato qui? C'è da giurare che qui rimarrà anche Silvio Nostro. Perché gli annunci pre-elettorali di espatrio di solito valgono quel che valgono: pochino. Servono a drammatizzare e mai vengono portati a compimento.

Dunque, tranquilli, anche lo chef-star Massimo Bottura resterà dei nostri. Ha detto che «se il 4 dicembre vince il No, potrei andare via dall'Italia» ma per fortuna non lo farà. Il fuoriuscitismo declamatorio, l'evocazione dell'auto-esilio, la sparata da "questa Italia non mi merita" (se vince quello che mi sta antipatico) rappresentano un simpatico sfogo insincero, tipico della propaganda politica. Se non fosse così, l'ottimo Umberto Eco - che alla vigilia del trionfo elettorale di Berlusconi nel '94 disse pronto a scappare in caso di sconfitta della sinistra -  sarebbe morto, nello scorso febbraio, non nella sua stupenda casa milanese ma in un esilio parigino che non ha mai praticato. Hic manebimus optime è il vero non detto di Silvio e di tutti gli altri espatriati, espatriandi ed espatriabili immaginari.
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