Quei crimini in Italia giudicati dagli inglesi

Quei crimini in Italia giudicati dagli inglesi
di Carlo Nordio
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Sabato 16 Settembre 2017, 09:14 - Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 07:52
L'aula della Corte d'Assise di Venezia è maestosa nella sua austerità. I banchi del pubblico sono lunghi e foderati, come quelli del Parlamento inglese, e il seggio dei giudici è circondato da una preziosa e venerabile boiserie. Malgrado i restauri, dovuti anche allo scoppio di una bomba, è rimasta inalterata da un secolo. Ha visto celebrare processi famosi, da quello alla contessa Tarnowska al caso Montesi. Ma il più importante, anche se non il più noto, ebbe luogo dal febbraio al maggio 1947, davanti a una Corte militare britannica. L'imputato era Albert Kesselring, feldmaresciallo del Reich e comandante delle truppe tedesche in Italia dal 43 al 45.
Kesselring era nato nel 1885 a Marksteft, in Baviera. Entrato presto nell'esercito, si guadagnò due croci di ferro durante la prima guerra mondiale. Dopo la disfatta del 18, contribuì efficacemente alla ricostruzione della Wehrmacht, finchè negli anni 30 passò alla Luftwaffe, la potente aviazione di cui sarebbe diventato, dopo la campagna di Francia del 1940, feldmaresciallo. In realtà rimase un grande stratega di terra, e in Italia ne dette buona prova. Come comandante del settore mediterraneo entrò in contrasto con Rommel, che voleva puntare diritto sulle piramidi. Kesselring la riteneva una follia, se non si fosse prima occupata Malta, assicurando i rifornimenti. Hitler non lo ascoltò, e Rommel privo di aerei e di carburante fu strapazzato da Montgomery, nel novembre del 42, a El Alamein. Poi gli Alleati sbarcarono in Sicilia. Kesselring organizzò la ritirata in modo geniale, trasferendo senza perdite le truppe sul continente. Gli angloamericani iniziarono così la risalita della penisola con penosa lentezza: e il maresciallo li tenne a bada, guadagnandosi la stima di Sir Harold Alexander e la costernazione di Mark Clark.
Dopo l'8 Settembre, Hitler e Rommel pensarono di ritirarsi al Po. Kesselring li convinse di potersi difendere anche dagli italiani traditori. E così purtroppo fu. Infine, dopo lo sbarco di Anzio, quando il fronte tedesco rischiava di sgretolarsi, Kesselring tenne duro, e quasi ricacciò in mare gli americani. Nella strategia difensiva fu, con Gotthard Heinrici, il cervello più geniale. Poco prima della fine, Hitler lo chiamò a comandare il fronte Ovest, ma ormai era tardi. Ciononostante il maresciallo non volle sentir parlare di resa, nemmeno dopo il suicido del Führer. I confini tra l'onore e la stupidità sono spesso evanescenti. Con la resa incondizionata, vennero i processi ai criminali di guerra. Norimberga giudicò, condannò e impiccò quanto restava dei capi nazisti, incluso il feldmaresciallo Keitel, comandante in capo della Wehrmacht, e quindi diretto superiore di Kesselring. Ques'ultimo fu arrestato, e portato a Venezia. L'imputazione era duplice: il massacro delle Fosse Ardeatine e il bando con cui autorizzava le rappresaglie sui civili. Gli inglesi avevano uno strano modo di procedere: si riservarono di giudicare i militari più elevati in grado, lasciando gli altri alle giurisdizioni locali. Così essi processarono, con le stesse imputazioni di Kesselring, i generali Maelzer e Von Makensen, mentre lasciarono Kappler (e Reder) ai tribunali italiani. Molti ironizzarono sul fatto che un tribunale di stranieri giudicasse in terra straniera delitti commessi da stranieri contro stranieri. Comunque andò così, Norimberga aveva fatto scuola. Il 6 maggio 1947 Albert Kesselring fu condannato a morte.
LE REAZIONI
Le reazioni furono diverse. Molti generali inglesi si indignarono, ed espressero solidarietà al valoroso collega. Lo stesso Churchill, peraltro non più al governo, si pronunciò per la clemenza. Nel frattempo l'Italia aveva abolito la pena di morte, ed una esecuzione capitale nel nostro territorio sembrava impossibile. Così, la fucilazione fu commutata in ergastolo. Kesselring finì in prigione, dove scrisse le sue memorie, ma non ci restò a lungo: nel 1952 fu liberato per ragioni di salute. In realtà tanto malato non era, perché partecipò a vari raduni di ex nazisti, e morì quasi dieci anni dopo. Fino alla fine si dichiarò fiero di tutto e pentito di nulla. Ai funerali parteciparono, tra gli altri, Sepp Dietrich e Jochen Peiper, ufficiali delle SS già condannati come criminali di guerra. Kappler, almeno lui, restava in galera. Kesselring non fu, al contrario di Keitel, un lacchè di Hitler. Fu un servo cieco della Germania. Ma poiché la Germania era il Reich, e il Reich era il Fuhrer, anche lui ubbidì agli ordini odiosi del suo capo. Lo fece da soldato, non da macellaio. E quando gli fu possibile, salvò città, monumenti e anche vite umane. Al suo processo, un affidavit del Vescovo di Chieti riconobbe - forse esagerandoli - questi meriti. Nel difendersi dall'accusa dei massacri e delle rappresaglie, non invocò - come altri - l'ubbidienza agli ordini, ma le dure leggi di guerra. Per lui i partigiani erano formazioni armate di banditi che colpivano alla schiena, e come tali andavano trattati, secondo le norme del diritto internazionale nei confronti di chi non indossa una divisa. Il punto fondamentale che gli sfuggiva, e che ancora oggi non è abbastanza considerato, è che Wehrmacht e SS avevano violato, per prime, tutte le norme umane e divine dell'etica e del diritto. Quest'ultimo era ed è chiarissimo sui doveri delle truppe di occupazione: rispettare la vita, l'incolumità e la proprietà degli occupati. L'esordio dei nazisti in Italia fu la deportazione degli ebrei di Roma, con lo sterminio ad Auschwitz di più di mille uomini, donne e bambini. Sarebbe bastato questo per definire i tedeschi, loro sì, una banda di fuorilegge, contro i quali ogni reazione sarebbe stata legittima. Kesselring non lo capì, o non lo volle capire.
GRAVE ERRORE
Si può discutere all'infinito sull'opportunità dell'attentato di via Rasella. Personalmente credo che sia stato un grave errore. Ma giuridicamente era un atto bellico, giustificato dalla macroscopica illegalità del comportamento dell'occupante, che si era autoescluso dalla tutela delle convenzioni internazionali. Ma Kesselring era tanto geniale sul campo di battaglia quanto limitato nei suoi orizzonti intellettuali. Probabilmente era sincero quando, nell'epilogo delle sue memorie, scrisse che «In Italia i tedeschi si sono sempre sforzati di non trascurare le considerazioni umane ed etiche». Parole di lugubre irriverenza verso le vittime di Marzabotto e del Ghetto romano. Quando poi affermò che gli italiani avrebbero dovuto fargli un monumento, confermò l'ostinata miopia che non gli consentiva di vedere oltre le mappe militari. Tutti conoscono la sdegnata risposta di Piero Calamandrei: «Lo avrai camerata Kesslering, ma con che pietra si costruirà, a deciderlo tocca a noi». Ma il camerata era troppo ottuso per capirne il nobile significato.
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