La tendenza all’aumento della “singletudine” è trasversale e interessa tanto l’Italia quanto altri paesi europei, gli Stati Uniti e il resto del Nord America; in misura minore l’Asia, l’America latina, l’Africa e il Medio Oriente (in questi casi, per fattori socio-culturali e religiosi determinanti). Da qui ai prossimi quattro anni si prevede in tutto il mondo un aumento del 20 per cento di coloro che sceglieranno di vivere da soli. Le grandi metropoli, poi, si confermano come il luogo che induce di più alla vita solitaria. Guardiamo al nostro paese: gli scapoli sono più che raddoppiati nel decennio 2005-2015. L’anno scorso, se si escludono i vedovi, i single arrivavano a quasi cinque milioni. Se si dà un’occhiata al genere, si vede come la percentuale di donne single sia più alta rispetto agli uomini: 15,5 per cento contro 11,6. A fronte di un crollo delle coppie con figli (meno 7,1 per cento), si è registrato un balzo del 20 per cento delle famiglie composte da due sole persone. Dati preoccupanti, in tempi di Fertility day ed altre (dubbie) iniziative di incentivo alla natalità.
Ciò detto, non stupisce che la scienza abbia cominciato ad interessarsi al fenomeno già da diversi anni, portando il contributo di studi che vanno dalla psicologia alla sociologia all’antropologia, evidenziando che “single è bello” e che chi non si lega affettivamente in maniera stabile ad un partner si presenta come persona libera, integrata e soddisfatta. Chi vive solo, infatti, ha modo di instaurare contatti più frequenti con amici, vicini di casa, parenti stretti e non. Ma, per avere una visione più completa di cosa stiamo parlando, bisogna ricordare anche che, in un mondo dove la paura di restare soli è forte, molte persone sono indotte ad accontentarsi di relazioni sentimentali insoddisfacenti o dannose per sé pur di non affrontare la dura realtà della solitudine.
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