L'algoritmo "detective" che scova i serial killer

L'algoritmo "detective" che scova i serial killer
di Andrea Andrei
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Lunedì 20 Febbraio 2017, 11:05 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 08:15
Un algoritmo in grado di stanare i criminali, di smascherare i serial killer. Con solo una successione di dati e numeri da incrociare tra loro con un paio di grafici. A formulare questo algoritmo non è stato un matematico o uno scienziato, ma un reporter. Thomas Hargrove, la cui storia viene raccontata da Bloomberg, è infatti un giornalista in pensione della Virginia. Quello che lo distingueva dai suoi colleghi non era il fiuto della notizia, ma la passione per i dati e per i numeri. E nel 2004, mentre si stava occupando di un'inchiesta sul mercato della prostituzione, si ritrovò casualmente in mano un report completo dell'Fbi che elencava dettagliatamente circa 16 mila omicidi avvenuti nel 2002, con tanto di età, sesso, razza delle vittime ma anche metodi di uccisione e i dati degli assassini, se erano stati trovati. È lì che Thomas ebbe l'intuizione: «E se insegnassimo a un computer a riconoscere un serial killer?».

Cominciò quindi a raccogliere i registri con i dati di ogni anno, scoprendo che più di un terzo degli omicidi registrati dal 1980 al 2010 erano rimasti senza colpevoli. Ma Thomas scoprì anche un dettaglio sconfortante: via via che i metodi di indagine diventavano più sofisticati (analisi del Dna in primis), gli omicidi irrisolti invece di diminuire, aumentavano. Si passava infatti dal 90 per cento di metà degli anni 60, al 60 per cento del 2010. Un'evidenza che lo ha spinto ad agire. I risultati non si sono fatti attendere.

L'ALLARME
L'8 agosto del 2010, Hargrove inviò una mail alla polizia di Gary, città dell'Indiana, suggerendo che nella loro area potesse agire un serial killer. Incrociando i dati, Thomas aveva infatti trovato ben 14 omicidi insoluti di donne fra i 20 e 50 anni. Tutti casi che avevano dei punti in comune fra loro: le donne erano state strangolate in casa. In almeno due occasioni, era stato appiccato il fuoco dopo l'omicidio. Mettendo a confronto infatti i dati dei casi di donne morte per strangolamento in quella città, il numero era di molto superiore alla media nazionale. Questo campanello d'allarme spinse Thomas a scrivere di nuovo alla polizia. Ma anche la seconda volta, non ebbe alcuna risposta. Per la svolta si dovette aspettare il 2014 quando, dopo aver trovato una ragazza di 19 anni strangolata in un motel in una città vicina a Gary, gli investigatori riuscirono a risalire a un sospettato, tramite le celle del telefonino. Si trattava del 43enne Darren Deon Vann. Fu quest'ultimo a condurre la polizia in alcuni edifici abbandonati, dove vennero rinvenuti i corpi di altre sei donne, tutte morte per strangolamento. Durante il processo, Vann ammise di aver commesso omicidi in serie fin dagli anni 90.

SPERIMENTAZIONI
Quello che il giornalista Hargrove era riuscito a fare non è molto diverso da ciò che già viene sperimentato quotidianamente in altri settori. Ad esempio, negli Stati Uniti, un approccio simile, che si basa sull'incrocio dei dati, viene applicato al baseball (per tracciare le prestazioni dei giocatori) ma anche alla politica, per prevedere le tendenze elettorali. Ma anche nella sicurezza pubblica qualcosa era già stato fatto: la polizia di New York, a metà degli anni 90, aveva elaborato Compstat, un software che serviva a studiare più precisamente come e dove disporre le proprie forze in campo per garantire un controllo capillare del territorio.

Non serve comunque spostarsi per forza oltreoceano per trovare altri esempi. La questura di Milano ha infatti in uso un software che si chiama Key Crime e che riesce a prevedere le rapine. Ebbene, dopo otto anni di sperimentazione, sembra proprio che il software abbia dato i suoi frutti: le rapine si sono ridotte del 57 per cento e in tre casi su quattro i responsabili vengono arrestati. Il metodo è semplice: le denunce delle rapine vengono raccolte e passate all'ufficio addetto all'analisi dei dati. Qui tutti i dettagli vengono inseriti nel sistema Key Crime e spesso gli agenti richiamano le vittime per chiedere ulteriori particolari, per esempio in che mano il bandito teneva l'arma. A questo punto, attraverso degli algoritmi, il software trova correlazioni tra i vari colpi e ne verifica la possibile serialità: se il riscontro è positivo viene dato un nome al presunto bandito ritenuto il responsabile. In base ai dati immessi, inoltre, Key Crime calcola gli obiettivi più a rischio in una determinata area della città, il giorno e l'ora in cui è più probabile che il criminale entri in azione. In questo modo vengono predisposti servizi mirati, utilizzando anche personale in borghese: il risultato è che i rapinatori molto spesso vengono arrestati in flagranza oppure la presenza della polizia li mette in fuga prima che entrino in azione.

ESEMPI
Nonostante gli esempi virtuosi però, mai un algoritmo era riuscito addirittura a salvare delle vite scovando possibili assassini seriali. Ma come ha fatto Thomas nel concreto per sviluppare questo algoritmo? Aiutato da uno studente dell'università del Missouri, Hargrove ha prima scaricato il rapporto dell'Fbi in un software per le statistiche, poi ha trascorso dei mesi cercando di sviluppare una soluzione per incrociare i dati riguardanti i casi irrisolti. Ha fatto quindi il percorso inverso, testando la sua bozza di algoritmo con gli omicidi di un serial killer già noto. Scoprì, a detta sua, un centinaio di falle, e quindi si concentrò solo su alcuni parametri: geografia, sesso, fascia d'età e metodo di uccisione. E non appena si focalizzò sulle donne nella fascia d'età fra i 20 e 50 anni, tutto cominciò a funzionare.

IL PROGETTO
Da quando, nel 2015, Hargrove è andato in pensione si è dedicato al suo progetto, chiamato Map (Murder Accountability Project), che si prefigge di rendere i dati dell'Fbi liberamente disponibili, come in una sorta di database open source degli omicidi. L'algoritmo di Hargrove è riuscito a ottenere anche una serie di altre informazioni interessanti, disponibili sul sito di Map, fra cui le città degli Stati Uniti in cui si risolvono più casi (Houston e Dallas) e quelle invece che hanno il maggior numero, in proporzione, di delitti irrisolti (Chicago e Boston).

Quello di Hargrove è uno dei tanti esempi in cui possono essere utilizzati i cosiddetti big data, cioè la raccolta massiccia di dati per monitorare dei fenomeni. I big data, come abbiamo detto, possono servire a studiare in tempo reale le prestazioni di un giocatore sul campo da calcio, ma anche a gestire il traffico sulle strade o il flusso di clienti nelle corsie di un supermercato. Si tratta di una frontiera che potrebbe permettere di consegnare a chi è in possesso dei dati e delle statistiche un controllo praticamente assoluto. Tanto che tutto ciò ha già da anni stimolato la fantasia di vari autori, che hanno perlopiù visto nel fenomeno la formula distopica per eccellenza, in cui anche le azioni del singolo possono essere previste e, in alcuni casi, impedite. Si va da The Minority Report di Philip K. Dick (poi diventato un celebre film) a Il cerchio, libro del 2014 di Dave Eggers, fino al videogioco di Ubisoft Watchdogs. L'incubo ricorrente: e se il bisogno di sapere tutto, invece di proteggerci, finisse per renderci schiavi? Finché la letteratura resterà tale, l'idea di avere un'arma in più contro il crimine non sembra affatto male.

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