Startup, in Italia rallentano crescita del settore e investimenti

La sala del Tempio di Adriano che ha ospitato lo Startup Day
di Alessandro Di Liegro
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Lunedì 5 Febbraio 2018, 17:16 - Ultimo aggiornamento: 7 Febbraio, 18:09
Le startup italiane non se la passano molto bene, almeno dal punto di vista degli investimenti. È quanto emerge dallo “Startup Day”, organizzato da Agi al Tempio di Adriano a Roma trasformato in una Sala della Pallacorda per fare il punto sullo stato di salute delle aziende che muovono l'innovazione. Il panorama non è edificante e vede le startup pagare un disinvestimento nel settore innovativo, come evidenzia Salvo Mizzi di Invitalia: «Si è chiuso un quinquennio che ha visto l'Italia ultima in Europa per capacità di investimento. Siamo alle spalle di portogallo e grecia per funding di innovazione. Numero semplici, chiuso in flessione persino rispetto al 2016, investito 110 milioni nel 2017, trend non positivo per il 2018. Nel quinquenno 2012-2017 mentre l'Europa è al +40%, in Italia il resumé segna -40%».

A incontrarsi in una tavola rotonda “Aspen style” i principali player del settore da angel investors, rappresentanti dei fondi di venture capital e degli investitori istituzionali, mondo dell'università e ricerca, startupper, membri del governo e delle istituzioni, coordinati e moderati dal direttore dell'Agenzia Giornalistica Italia – promotrice dell'evento – Riccardo Luna. L'incontro muove dal report commissionato da Agi e realizzato da Mind The Bridge in cui si evidenzia come l'innovazione in italia si muova troppo lentamente, rischiando di essere asfaltata dagli investitori stranieri, più grandi e più ricchi.

Le ricette messe in campo da ognuno dei relatori, che si sono alternati per tre ore totali di interventi, prendono a esempio le manovre messe in campo da Stati Uniti e Francia, laddove con particolari decreti fiscali o pesanti interventi economici si è ridato slancio alla piccola e media industria dell'Innovazione: «Guardiamo Macron e alla Francia, un Paese in ritardo come il nostro, che ha messo sul tavolo 13 miliardi con il progetto La French Tech, una vetrina del sistema Paese francese per attrarre capitali internazionali e punto in cui ritrovare una serie di piani industriali che la Francia ha messo a disposizione» ha detto Layla Pavone di Digital Magics.

Anche l'Italia dovrebbe, secondo molti, contribuire a investire istituzionalmente, attraverso gli enti deputati a farlo, come la Cassa Depositi e Prestiti o il Fondo Italiano, per ridare linfa vitale e ossigeno a quelle startup che dopo la prima fase di lancio e di scale up possono ritrovarsi oppresse dalla loro stessa crescita e collassare. Si è parlato di un fondo di garanzia, suggerito da Giancarlo Rocchietti, fondatore di Euphon e membro del Club degli Investitori, che possa coprire fino all'80% del capitale investito, in modo da ridurre il rischio che sembra frenare più le grandi imprese che le PMI: «È incomprensibile come le grandi aziende investano così poco in innovazione in Italia, forse gli incentivi fiscali non bastano», mentre si sottolinea come gli investimenti, in realtà, ci siano ma sono direzionati verso altri Paesi.

Resta il fatto che l'Italia è uno dei maggiori bacini di talento in Europa e nel Mondo, ed è paradossale come questo talento rimanga imbrigliato in una rete in cui districarsi è più facile che incontrarsi, nella filiera dell'innovazione che va dall'utente, all'imprenditore digitale, all'investitore, all'università e alle istituzioni: «Meglio investire poche aziende che possano poi fungere da volano per le altre che verranno» suggerisce Davide Dattoli di Talent Garden. «Equiparare le startup alle PMI anche dal punto di vista delle detrazioni fiscali per le acquisizioni» dice Marco Bicocchi Picchi, business angel e presidente di Italia Startup, la cui visione è però funerea: «Le politiche per le startup hanno fallito. È un problema culturale». C'è chi ipotizza che un investimento pubblico di 5 miliardi in 5 anni, di cui 1,5 dai PIR, potrebbe rilanciare lo sviluppo dell'imprenditoria digitale – come ha fatto Salvo Mizzi – e chi invece pensa che attingere alla mammella pubblica possa addirittura frenare l'innovazione – Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia. A concludere gli interventi gli “auditori” e, forse, i destinatari dell'incontro, gli esponenti politici e di governo come Antonio Palmieri di Forza Italia, Laura Castelli del Movimento 5 Stelle, Armando Siri della Lega Nord, Stefano Scalera e Stefano Firpo del Ministero dell'Economia e Finanze. La carne sul fuoco è tanta, e in ballo vi è un settore con 45mila addetti che un moltiplicatore d'investimento che potrebbe portare sviluppo e lavoro. Questo, come ha concluso Luna, è solo il primo appuntamento. L'obiettivo è quello di far sì che l'innovazione diventi un tema che salga in cima alla lista degli interessi del prossimo governo. Qualunque esso sia.  
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