Thomas De Gasperi, dagli Zero Assoluto agli e-sport: ​«I videogiocatori sono i nuovi miti»

Thomas De Gasperi, dagli Zero Assoluto agli e-sport: «I videogiocatori sono i nuovi miti»
di Simona Orlando
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Mercoledì 15 Novembre 2017, 14:58 - Ultimo aggiornamento: 16:22

«L'uomo è completamente tale solo quando gioca». Il motto del filosofo Friedrich Schiller è lo slogan di Mkers, squadra di e-sport e azienda italiana con visione internazionale, co-fondata da Thomas De Gasperi,quarantenne romano del duo Zero Assoluto che, alla passione per la musica (il best con 5 inediti è in cantiere, e non è detto che non li vedremo a Sanremo), alterna quella per la competizione videoludica, in crescita esponenziale.

Tastiera, cuffie, schermo e arena gremita: benvenuti nel futuro dello sport, quello elettronico, giocato da seduti, che il Comitato Olimpico Internazionale ora riconosce come attività sportiva. Un giro d'affari mondiale che supera il miliardo di dollari (si stima 2 miliardi entro il 2022), un pubblico che in Italia conta un milione di utenti tra online e eventi dal vivo (Romics, Lucca Comics, Games Week) e nel mondo fa quasi 500 milioni di spettatori. Gente che guarda altra gente giocare, in streaming, su piattaforme come Twitch. Tv o nei palazzetti. L'hobby preferito dai millennials passa da virtuale al reale, da amatoriale a competitivo e sta letteralmente esplodendo.

Voi di Mkers ci avete visto lungo?
«Con i miei tre soci fra cui Amir Hajar, uno dei primi proplayer italiani, abbiamo messo su tre squadre: Counter-Strike, Overwatch e FIFA, gioco in cui il nostro Daniele Colucci, 21enne romano cresciuto nella giovanile della AS Roma, ha vinto il campionato europeo 2017. Un traguardo, visto che l'Italia è indietro. Altrove ci sono federazioni, in America danno borse di studio. In Corea del Sud, per strada, fermano i videogiocatori, non i calciatori».

C'è stata un'apertura del Cio però.
«Speriamo di dialogare seriamente. Gli scacchi e il bridge sono considerati sport, perciò l'e-sport ha uguale diritto. E' un gioco di mente e dietro c'è grande preparazione. Ci si allena insieme, si rivedono le partite, ci sono qualificazioni, tornei. Non si può far finta di niente».

Se le immagina le Olimpiadi con i videogiochi?
«C'è da ragionarci. Vanno esclusi quelli violenti o le simulazioni di discipline sportive? Si manda in onda una partita di FIFA tra il salto in alto e il lancio del giavellotto? Più tardi rispondiamo, più occasioni perdiamo».

Non alimenterà la dipendenza da schermo?
«Per questo serve regolamentare. Un circuito professionale aiuta a stabilire limiti e criteri: quante ore al giorno bisogna giocare, quanta attività fisica va garantita, tutto a misura del giocatore».

I tornei sono aperti ai 16enni. Non hanno troppa pressione?
«Per questo ci sono i mental coach, a metà fra allenatori e psicologi. Finché non si parla del fenomeno nei termini giusti, i genitori avranno paura ogni volta che ci avviciniamo ai figli per arruolarli. Facciamo molto scouting e ai più promettenti offriamo contratti».

Da capogiro?
«Non in Italia, dove un buon giocatore guadagna fino a 1500 euro al mese. All'estero i campioni di League of Legends arrivano a 30.000 euro al mese e sono trattati da atleti. Fuori ci calcolano poco. Siamo bravi ma meno competitivi».

Vi muovete per cambiare le cose?
«Stiamo collaborando con Gea World di Alessandro Moggi per coinvolgere i club sportivi. Già la AS Roma ha chiuso l'accordo con Fnatic per FIFA, dopo la Samp che è stata la prima a buttarsi. Speriamo di allargare il campo».

Com'è la vita da torneo?
«Un pubblico soprattutto maschile, ma sempre più femminile. Tifano giocatori o squadre non necessariamente della loro nazionalità. La gente viene vestita da eroi del videogioco, sfilano cosplayer e anche le squadre cominciano a studiare le uniformi, da unicorno rosa, da tigri. Diventa intrattenimento».

Non esistono più i nerd di una volta?
«Qualcosa significa se il primo ministro giapponese Shinzo Abe lanciò i Giochi di Tokyo 2020 vestito da Super Mario.

I nerd non sono più ingobbiti e con i fondi di bottiglia. Dai seminterrati sono passati agli stadi. Si possono ignorare ma non si potranno fermare».

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