Bullismo e odio ai tempi del Web, Grandi: «Non è un problema social, ma sociale»

(Foto di Nicola Dalla Mura/Ag.Toiati)
di Alessandro Di Liegro
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Venerdì 15 Settembre 2017, 15:35 - Ultimo aggiornamento: 15:43
Un momento di approfondimento sull'hate speech, l'odio online, che degenera in bullismo e in fake news. E' il panel dedicato alla presentazione del libro "Far web - odio, bufale, bullismo. Il lato oscuro dei social" (Rizzoli) scritto da Matteo Grandi, direttore di Piacere Magazine, alla Social Media Week.
 
 

Dove nasce l'esigenza di scrivere un libro su odio, bufale e bullismo in rete?
Nasce dall'essere appassionato di social e dall'osservazione che, in un momento in cui tutti ne parlavano anche con pressapochismo, nessuno aveva cercato di mettere ordine e trattare l'argomento in modo laico, lucido e organico. Affrontare un argomento su bocca di tutti per fissare paletti e sgomberare il campo da luoghi comuni, che secondo me stavano iniziando a contaminare il dibattito.

“Far web” rimanda a quel periodo di “deregulation” del West americano dell'800. Vi è la stessa atmosfera, in rete, al giorno d'oggi?
Il titolo è provocazione. Per molte persone il web è come un far west. In molti sono convinti, erroneamente, che in rete valga tutto. Questa è una delle motivazioni per cui gli utenti si lasciano andare in contegni inimmaginabili nella vita reale. È una provocazione perchè la rete non è un “far web”, perchè le leggi esistono e sono le stesse che disciplinano nostra esistenza. Sia leggi dello Stato che civiche, leggi di civiltà e di educazione.

Cosa si trova nel libro? Storie? Norme? Esempi?
Nel libro sono raccontate storie. Ho cercato di analizzare un fenomeno complesso in modo semplice. Questa era l'idea di partenza: non ho mai pensato di fare un libro per gli addetti ai lavori ma volevo potesse essere fruibile.
Raccontare le cose in modo semplice non significa semplificare ma significa rendere un argomento più accessibile. Ci sono dei casi, delle storie, delle panoramiche sulle tante derive della rete che vanno dal semplice hating a pagine chiuse dove si incita allo stupro e alla violenza; da i vandali che manomettono Wikipedia, al revenge porn. Ho raccolto una casistica: casi surreali come quello di Arianna Drago che denunciò i siti dello stupro virtuale, ma Facebook ha chiuso il suo di profilo personale. Cerco di analizzare le norme vigenti, il ruolo delle piattaforme, i dibattiti sull'argomento in essere, le posizioni degli ultraccaniti del web e di chi il web lo vorrebbe silenziare. Mi son basato su numerosi studi che, tra Carta di Roma e Progetto Vox, raccontano l'odio in modo lucido e impietoso. L'idea di era quella suscitare riflessioni.

Dopo aver scritto il libro, si è fatto un'idea del perché vi è così tanto odio in rete?
L'odio è abbastanza palese e lampantee nasce dalla società in cui viviamo. È il contesto socioeconomico che porta a questo. Da un certo punto di vista è un bene che la valvola di sfogo sia un giocattolo come il computer. Questa che viviamo è una fase storica particolare e l'odio che vediamo su internet non è che il riflesso del risentimento che cova nella società civile. Dovendo arrivare a una risposta il problema non è il social ma sociale.  
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