Narni, dietro la rinascita
della Elettrocarbonium
anche le preghiere
dell'ex operaia Linda

Linda Abbati il giorno dell'inaugurazione
di Marcello Guerrieri
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Martedì 19 Settembre 2017, 11:39 - Ultimo aggiornamento: 13:39
NARNI Prima una candela al giorno. Poi due, da quando la vicenda s’era ingarbugliata. Tutte dedicate al copatrono della città di Narni, quel san Cassio, che è stato sempre ricordato come il Santo delle cose impossibili. E far riaprire la “fabbrica” di Narni, l’Elettrocarbonium era impossibile o quasi. Linda Abbati, una signora di oltre novant’anni, davvero energica, che aveva speso tutta la sua vita lavorativa all’interno del grande stabilimento, non se ne era data per vinta. Via con le preghiere, allora, via con le novene, via con le candele. Lei è una persona semplice, con una religiosità che arriva dall’altro secolo, intensa, però e piena di passione. «No, non mi sono mai rassegnata. San Cassio ci doveva fare per forza questa grazia. E poteva essere solo lui».
E giù una candela. Quando arrivò Michele Monachino, il patron della società che poi non riuscì a far decollare la fabbrica, venne cercata perché era la più anziana lavoratrice dell’Elettrocarbonium; l’imprenditore la cercò a casa , perché fosse proprio lei a spingere il bottone per far ripartire la sirena. Lei accetto: salì con la sua forza di piccola donna, in un pianerottolo di un impianto industriale ed arringò, come un politico consumato, la folla, tanti operai, le autorità il vescovo. E proprio agli operai raccontò che solo col lavoro e la dedizione si poteva sperare di mantenerla in vita. Poi non andò tutto a rotoli. Ma Lindai, non se ne dette per inteso: le candele furono due, una anche, ci sono le carte a sostegno del liquidatore quel Marco Petrucci che è stato sempre dalla parte della città: «Lo so che San Cassio ci aiuterà: è il nostro patrono e sentirà nella nostra difficoltà. E’ stata la vita di tanta gente». Ovviamente, un po’ parlava anche come una tifosa ma dall’altra parte era convintissima di quello che faceva, la sua fede trascinante sembrava dover toccare davvero san Cassio. Linda nella fabbrica entrò che aveva tredici anni, per aiutare la sua famiglia in difficoltà:«“Ricordo che nella pausa caffè i miei colleghi mi portavano le caramelle perché era troppo piccola per prendere quella bevanda da grandi». Ricorda le lotte sindacali: «Non ho sempre fatto sciopero: ero l’unico aiuto della mia famiglia ancora penso che non potevo, non dovevo, per rispetto abbandonare il lavoro». Un carattere di ferro le hanno permesso poi di entrare nell’organizzazione della parrocchia del Duomo che segue, ogni giorno con una precisione tedesca, perché proprio da loro ha imparato a lavorare. Il suo tavolo è sempre libero, ogni rapporto economico chiaro. Ritorna alla fabbrica, quella che per lei è e rimane l”Elettro”: «Ho tanto sofferto nel vederla chiusa. Ma io lo sapevo che non vi sono solo i conti ed i bilanci. C’è anche chi si prende cura di noi e della nostra città dall’alto, e chi meglio che il patrono? I nuovi proprietari sono cinesi? Non importa: importa che i cancelli riaprano, la sirena risuoni e che l’Elettro torni ad essere il grande sostegno della città di Narni».Ho tanto sofferto nel vederla chiusa. Ma io lo sapevo che non vi sono solo i conti ed i bilanci. C’è anche chi si prende cura di noi e della nostra città dall’alto, e chi meglio che il patrono? I nuovi proprietari sono cinesi? Non importa: importa che i cancelli riaprano, la sirena risuoni e che l’Elettro torni ad essere il grande sostegno della città».
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