Pugno mortale, condanna definitiva: non fu un gioco

Emanuele Tiberi, la vittima
di Ilaria Bosi
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Giovedì 17 Febbraio 2022, 14:54

Nessun gioco: a uccidere Emanuele Tiberi, 33 anni mai compiuti, è stato quel pugno sferratogli con veemenza, e al di fuori di un contesto di lite, dal coetaneo Cristian Salvatori. A cristallizzare quanto accaduto a Norcia all’alba del 29 luglio 2018, è stata la Corte di Cassazione, che ha rigettato il ricorso presentato dai legali di Salvatori, rendendo definitiva la condanna a 5 anni e 4 mesi di reclusione, per omicidio preterintenzionale, decisa dal Tribunale di Spoleto e confermata dalla Corte d’Appello di Perugia. L’ipotesi del gioco, sempre respinta con determinazione dai familiari di Emanuele, sembrava in qualche modo riaffacciarsi tra le pieghe di quest’ultimo ricorso, in cui la difesa ha fatto leva su un difetto di motivazione della sentenza d’appello. Nell’udienza, che si è svolta due giorni fa, il procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, rilevandone l’infondatezza. La pronuncia della Suprema Corte è arrivata mercoledì pomeriggio e mette la parola fine a una vicenda dolorosissima non soltanto per i familiari di Emanuele, la vittima, ma dell’intera comunità di Norcia e dell’Umbria, sconvolte dall’accaduto. Emanuele venne ucciso davanti a un pub di Norcia dopo il pugno sferratogli all’improvviso dal conoscente, senza che ci fosse una lite in corso. Proprio quest’ultimo dettaglio ha favorito, in un primo momento, la diffusione di diverse ipotesi, mano a mano scemate anche alla luce dei racconti di chi ha assistito a quegli attimi di inspiegabile violenza.

Una tragedia assurda e dolorosa, da cui è comunque derivato un gesto dal grande significato. Emanuele, che dopo il colpo di Salvatori è caduto a terra senza riprendere più conoscenza, è infatti morto qualche ora dopo nell’ospedale di Terni, dove i genitori – nonostante il comprensibile strazio – hanno acconsentito alla donazione degli organi. Un gesto di profonda civiltà e altruismo, che in un contesto come quello in cui è maturata la morte del 32enne ha assunto un valore ancora più grande. Mamma Simonetta e papà Ernesto, genitori della vittima, hanno sempre vissuto la tragedia con grande dignità e discrezione, rifiutando però con forza l’ipotesi che il figlio fosse morto per un gioco. Convinzione ribadita in ogni occasione: «Manu era un ragazzo pacato e tutt’altro che litigioso – hanno più volte ripetuto – e accostare la violenza a un gioco significa tentare di infangare la sua memoria». La famiglia di Emanuele si è costituita parte civile, assistita dagli avvocati Francesco Falcinelli e Diego Ruggeri. Cristian Salvatori, che ora di anni ne ha 37, dopo periodo in carcere e una parentesi in una struttura di Rimini, si trova attualmente detenuto ai domiciliari nell’abitazione di famiglia a Norcia.  

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