Calcio, lavoro e veleni nell'aria: al Biancovolta la storia di Ilva football club

Fulvio Colucci tra Daniele Camilli e Maddalena Papacchioli
di Andrea Arena
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Domenica 23 Aprile 2017, 17:20
Il grigio delle maglie immaginarie di una squadra immaginaria e il grigio delle ciminiere reali. Quelle ciminiere della più grande acciaieria d'Europa che da sessant'anni è protagonista – più nel male che nel bene – della vita di Taranto e dei tarantini, e che è anche al centro di questa storia. Una storia, un libro, che si intitola “Ilva football club” (edizioni Kurumuny, 80 pagine, 7.22 euro su Amazon), firmato dai giornalisti tarantini Lorenzo D'Alò e Fulvio Colucci e presentato sabato a Viterbo, allo spazio Arci del Biancovolta, all'interno del programma di Resist.

«Questa è e resta una storia di calcio – precisa Fulvio Colucci, presente all'incontro moderato da Daniele Camilli e Maddalena Papacchioli – Perché dell'Ilva si è sempre parlato tanto, del ricatto occupazione a cui ha posto il territorio e i suoi abitanti, ai problemi ambientali e, dal 2012, anche ai risvolti giudiziari. Ma al di là dei soliti stereotipici, si è parlato poco del fatto che l'Ilvia sia e sia stata anche una storia di uomini, di lavoro in cambio della vita. Avremmo potuto scrivere l'ennesimo saggio, snocciolando numeri e non aggiungendo nulla a ciò che è stato detto, e invece abbiamo scritto una storia di calcio».

Che poi l'autobiografia di Lorenzo D'Alò («L'unica autobiografia scritta a quattro mani...», scherza Colucci), il bambino nato nel quartiere Tamburi, il più vicino e mortalmente legato alla fabbrica, che sin da piccolo, nella bottega da salumiere del padre, sente parlare del mostro siderurgico che sputa fuoco. Lui comincia a dare calci ad un pallone nella squadretta messa su da un sacerdote – calciatore mancato – nel quartiere. Siamo negli anni Settanta, quelli del boom illusorio, del terrorismo, della crisi energetica. Da grande, quel bambino rispolvera la maglia grigia e di una squadra, di undici uomini, che non riusciranno a vincere la partita contro le malattie, e un destino segnato da chi è vissuto all'ombra dell'Ilva.

«E' una Spoon river, è vero – dice Colucci concordando con l'analisi di Camilli – ma si parla di calciatori, di schemi, di allenatori che sono stati maestri di vita. C'è passione, ironia, e un'attualità che purtroppo non abbandona Taranto e i tarantini. E' storia di questi giorni: sui social netwotk girava la lettera di una mamma di Tamburi che ammetteva di non voler portare il figlio a giocare a pallone sull'ultimo campo rimasto nel quartiere perché erano giorni di vento da nord». Quel vento che quando spira e mischia il veleno della fabbrica a quello del traffico automobilistico, rende l'aria più avvelenata del solito. E imprigiona gli abitanti di certi quartieri della città dei due mari prigionieri in casa loro.
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