Prima Bonucci e poi Camilli: quei due addii che rischiano di mandare a picco il calcio viterbese

Piero Camilli e Leonardo Bonucci
di Andrea Arena
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Martedì 18 Luglio 2017, 11:45 - Ultimo aggiornamento: 12:54

Neanche si fossero messi d'accordo. Un doppio addio che è un doppio gancio, al volto, di quelli che prima tolgono il respiro, poi fanno vacillare e infine mandano al tappeto. Col rischio di provocare danni permanenti. In questo caso, il pugile suonato è il calcio viterbese, che pur avendo incassato in passato delle scoppole non indifferenti, stavolta rischia veramente di non riprendersi più. La colpa – anzi, la causa – è di due addii pesantissimi, nel giro di ventiquattro ore. 

UN VENERDI' DA LEONI Il primo è quello di Leonardo Bonucci, protagonista della trattativa lampo che lo ha portato a lasciare la Juventus e a passare al Milan, in uno di quegli affari che resteranno nella storia – e nei bilanci – del calciomercato. Al trauma globale di cinquanta miliardi (o quanti cavolo sono) di tifosi juventini sparsi per il Sistema solare, si è aggiunto quello della sottospecie degli juventini viterbesi. Che in Bonucci si erano riconosciuti, incarnati, fino a farne oggetto di culto, secondo soltanto – absit iniuria eccetera eccetera – a Santa Rosa. E giustamente, va aggiunto: perché Leo sembrava (sembra) un giocatore perfetto, pulito, tutto casa e famiglia, educato, uno di noi, anzi uno di loro. Gli avevano dedicato persino il club ufficiale della Juventus, che ora dovrà giocoforza cambiare nome (si suggerisce, umilmente, “Juventus club Angelo Peruzzi”, un viterbese che la Champions con la maglia della Juve l'ha vinta). A coccolarselo adesso saranno i milanisti viterbesi, che non sono legione come i bianconeri, ma setta, e che certamente, avendo imparato la lezione, eviteranno di affezionarsi troppo al Bonucci rossonero. Non sia mai che un giorno passi alla Romao al Napoli - all'Inter no, perché c'è già stato.

PSICODRAMMA BIANCONERO Il fatto è che in questa isola felice o forse solo sotto Prozac, in questa provincia ancora più provinciale quando si parla di pallone, non era ancora arrivata la malizia che altrove, nel mondo civilizzato, hanno già conosciuto. Qui le meccaniche poco divine del calciomercato di alto livello sono più incomprensibili dei cartelli della Ztl nel centro storico. Qui ci si sarebbe emozionati, e si sarebbe gonfiato il petto, se Leo fosse andato a giocare in Inghilterra - «Dopo La Pietà di Del Piombo gl'emo ammollato pure Bonucci» - ma ci si incazza se è andato al Milan, e poco importa che sia la società italiana che ha vinto più Champions League, come ricorda sempre un certo Silvio B. E importa ancora meno se Bonucci sia diventato ufficialmente il giocatore italiano più famoso, ora che Totti ha smesso e Buffon sta per. Ha tradito, secondo loro, e soltanto i più illuminati riconoscono che comunque Leo resta una risorsa, un vanto, un'eccellenza della viterbesità nel globo: la miopia ha sempre la meglio rispetto al daltonismo, quando si parla di tifo.

CAMILLI IL CINESE E veniamo al secondo addio, al secondo gancio arrivato poche ore dopo. Camilli che lascia la Viterbese. Così almeno dice lui, così ha detto negli ultimi trecento mesi. Sabato sera, però, sempre attraverso i misteriosi canali di comunicazione che sanno sempre tutto quello che fa – o che sta per fare, o che ha intenzione di fare – il Comandante, si è saputo che la trattativa per cedere la società sarebbe arrivata alla conclusione. Con la cessione ad una cordata sembra romana, sembra composita, finora sconosciuta: tra i nomi dei nuovi proprietari filtrati sui giornali mancava soltanto Flavio Briatore e Sbirulino. A questo punto, è possibile che la Viterbese sia stata acquistata dagli stessi cinesi (mezzo sconosciuti pure loro) che hanno preso il Milan. E che magari hanno parcheggiato Bonucci sotto alla Madonnina soltanto temporaneamente: il loro progetto è di riportarlo in gialloblu, là dove tutto ebbe inizio, per una clamorosa, certo, operazione di marketing che stupirà il mondo e pure Sipicciano.

CAMILLI ULTIMO ATTO Comunque, Camilli che se ne va – o che dice di andarsene, perché il colpo di scena è sempre possibile, e non sarebbe neanche clamoroso -, dopo due promozioni di fila, dopo un playoff per andare in serie B, dopo aver dato quell'illusione di grandeur che Viterbo aveva vissuto soltanto con presidenti cazzari, è un brutto colpo. Se anche l'unico concittadino con soldi e competenza decide di mollare, vuol dire che fare calcio qui è davvero impossibile, almeno per la gente seria. E che la piazza tornerà preda di cazzari e avventurieri di cui sopra, come è stata da Enrico Rocchi in poi. Dagli agnelli (minuscolo) ai lupi, insomma, con buona pace di Fedro e Esopo, che non erano terzini brasiliani.

Mancano le strutture, i campi, in una città che ambisce e millanta cultura (anche lo sport è cultura, signori, quando lo capite fateci un triplice fischio).

Le società di settore giovanile che sfornarono lo stesso Bonucci (scuola, benemerita, del Pianoscarano) sono sempre meno, e annaspano tra mille difficoltà e mille compromessi, compreso quello di far pagare i genitori per far giocare i figli. I tifosi, già in via d'estinzione a livello nazionale, vanno solo quando c'è il sole, fa caldo, i prezzi sono ridotti e non ci sono partite di cartello in serie A allo stesso orario: tra un po' vorranno pure essere venuti a prendere a casa dalla limousine. La stampa, poi, è sempre più asservita, o moscia come una castagna rubata dal bruscolinaro alla fiera dell'Annunziata. Questo è, oggi, il pallone nella città dei papi. Bucato e sgonfiato da due cazzotti, uno dietro l'altro, che non si erano mai visti. C'è un medico a bordo ring, per caso? Meglio se attrezzato per i miracoli, grazie.

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