Luigi Zoja

L'analisi / Culle vuote, il non detto si chiama crisi dell’intimità​

di Luigi Zoja
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Martedì 14 Maggio 2024, 00:31

Il problema della natalità è grave per il mondo sviluppato, la cui popolazione potrebbe diminuire seriamente. In particolare per l’Italia, dove si associa a crisi riguardanti l’immigrazione (di molti disperati) e l’emigrazione (di giovani italiani che ancora sperano). Quante saranno le persone che lavorano, e quindi pagano per i servizi pubblici? Solo la mortalità è inevitabile. La natalità varia; persino immigrazione e emigrazione sono formalmente delle scelte, anche se spesso obbligate. Per sottolineare questa gravità, all’evento si è data una denominazione “pesante”. Gli Stati Generali, ricorda la Treccani, dovevano rappresentare tutta la Francia: divennero la piattaforma della sua Rivoluzione. Ma la realizzazione dell’intento pesante si rivela leggera. È patrocinato dal Lazio e dal Comune di Roma. Non riguardava l’Italia? È sponsorizzato da industrie di alimenti infantili e di giocattoli, con scoramento dei pediatri che raccomandano cibi e giochi semplici.

Perché non nascono bambini? Dire “Formate famiglie, voletevi bene!” è come affrontare le tragedie stradali invitando a “guidare con prudenza”: ci vogliono anche strade sicure, semafori, multe. La storia umana concorda: tutte le popolazioni che crescevano vivendo di agricoltura, fanno meno figli se si trasferiscono in città. Non limitiamoci, quindi, alle statistiche italiane dell’Istat. Allarghiamo lo sguardo al mondo (rapporto dell’Oecd, A. Maddison, The World Economy). Già nel Milletrecento, l’Italia era prima della classe per le arti, ma anche per reddito individuale, per una densità di popolazione, per la crescita urbana. La storia economica va a braccetto con Dante che rimproverava ai fiorentini un crescente lusso da rammolliti. Da lì alla contemporaneità cambia relativamente poco, rispetto all’Europa di cui l’Italia è parte. Gli altri paesi si urbanizzano, il nostro molto meno: era già zeppo di città. Anche nei nuovi centri di Inghilterra, Francia, Germania la popolazione cresce meno di prima: ma aumenta la loro ricchezza perché si popolano di fabbriche. Gli agglomerati italiani sono invece più statici. Non molto motivati a cambiare. L’Italia, più che nazione compatta, si compone di centri di media dimensione, a loro volta precocemente connotati da una forte classe media. Società antiche e anticamente sagge, che a parole non si prendono troppo sul serio: in realtà, sono fiere di una diffusa qualità della vita, non molto diversa da quella invidiabile realtà che De Rita ancor oggi descrive. Nella crisi multidimensionale di ogni società avanzata, essa è rimasta relativamente stabile nei secoli e più autocompiaciuta. Ha quindi poca tendenza al rinnovamento. Questa vita di provincia formalmente crede nell’avvicendarsi delle generazioni. Ma, godendo oggi di comodità e tecnologie come le metropoli, come quelle rinvia l’arrivo del primo figlio a un’età in cui si diventava nonni. La post-modernità non rifiuta in assoluto di aver figli: ma, se la distanza fra le generazioni raddoppia, i loro arrivi si dimezzano. Naturalmente anche in questa staticità ci sono cambiamenti. In Italia, la fine della monarchia e del fascismo avviano a scomparsa la società semplice e prevalentemente agricola.

Più a lungo che in altri paesi, patriarcalismo e fascismo avevano compresso l’individualità e la spontaneità. Più violentemente, quindi, dopo il 1945 dall’inconscio collettivo tornano a galla gli “umili” repressi, arricchendo cinema e letteratura neorealista di anti-eroi. Ma questo rimbalzo che popola l’immaginario collettivo, corrisponde anche al “miracolo” dell’economia. Capovolge non solo la sua dinamica, ma la cultura che essa esprime. L’Italia diventa vertiginosamente più ricca con i prodotti apparentemente più poveri: la 500 e la 600, Vespa e Lambretta, portatili Olivetti. Dal 1958 al 1965 le auto circolanti si moltiplicano quasi 14 volte, le famiglie col televisore passano dal 12 al 49%.

Poi ciò che, nella semplificazione della memoria, chiamiamo “i movimenti” o “il ‘68”, dura in Italia più che in altri paesi: non solo si prolunga negli anni ’70, ma partecipa a questa irreversibile trasformazione socio-economico-psicologica del paese. Inizia già col miracolo economico e continua ancor oggi. Che rapporto ha col numero delle nascite? È il cuore del problema. La demografia è difficilmente manipolabile, segue correnti carsiche dell’inconscio collettivo, somma di scelte individuali. Negli anni ’60, sia i laici progressisti che i cattolici praticanti discutevano la pillola anticoncezionale irradiata dall’America. La domanda non era specialistica (È innocua? Riproduce un ciclo naturale, quindi ammissibile dalla Chiesa?). Era esistenziale: “è giusto che le coppie rinviino i figli per comprare l’automobile?” La risposta non è venuta da testi di filosofia o di teologia, ma dai diagrammi della natalità e delle vendite Fiat. Antropologi e psicologi ci ricordano che il bisogno di riti è universalmente umano: se evaporano quelli religiosi, il loro spazio viene riempito da quelli del consumismo. Le nuove nascite hanno continuato a calare, toccando record negativi proprio nei paesi cattolici come Italia e Spagna: sono scese quasi a metà del “livello di sostituzione”, necessario perché il paese non si svuoti. Si chiude oggi la stalla della natalità, ma i buoi sono scappati da due generazioni. Ora si discute di maternità surrogata o fecondazioni in vitro: ma si trascura il fatto che in Italia la quasi totalità delle nuove nascite proviene ancora da un uomo e una donna che fanno l’amore. È la vita reale della maggioranza di persone reali a fare la storia. E il paese reale, politici compresi, trascura colpevolmente un cambiamento immenso: da decenni, i rapporti sessuali tradizionali crollano nel mondo, a cominciare dai paesi sviluppati. Se ne parla poco, perché l’intimità non si riflette direttamente sull’economia (fare l’amore non fa Pil): nel tempo, però, fa diminuire le nascite. Quando cadde il Muro di Berlino, in Germania si riunirono due paesi con ottime Università che studiavano la vita dei cittadini. Si apprese così che ai tedeschi “comunisti” mancava quasi tutto: ma avevano tempo, quindi una vita sessuale doppia dei cugini occidentali. Da allora si sono convertiti in consumisti, e partecipano alla nostra carestia di vita intima.

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