Fentanyl, emergenza della droga killer: l'incubo è qui. Ma c’è tempo per salvarsi

Usa e Canada hanno agito troppo tardi. Ecco come evitare di ripetere i loro errori

Migliaia di foto di vittime di overdose da Fentanyl in una installazione nella sede della Dea ad Arlington, in Virginia
di Riccardo C. Gatti*
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Sabato 11 Maggio 2024, 23:57 - Ultimo aggiornamento: 13 Maggio, 10:58

Non sapremo mai chi ha avuto l’idea di comprare i precursori dalla Cina con cui sintetizzare il fentanyl da vendere in Nord America ma, a suo modo, ha avuto una intuizione geniale. Costa poco produrlo ed è così potente che diventa facile occultarlo perché, con pochissima sostanza, si fanno moltissime dosi. Genera rapidamente una forte dipendenza e, quindi, fidelizza i clienti. Fu una idea folgorante metterlo sul mercato: all’inizio, quasi nessuno in Nord America lo cercava dagli spacciatori. Ma i narcos di quei luoghi capirono che avrebbe avuto successo e costruirono la “fase due” di una grande diffusione della dipendenza da oppioidi.

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LA DISTRIBUZIONE

La prima fase era stata aperta da alcune case farmaceutiche che avevano spinto la facile prescrizione ed il consumo dei painkiller anche perché c’era chi, invece di seguire una terapia del dolore, in parte usava i farmaci e in parte li passava ad altri, creando gravi problemi e generando nuovi dipendenti da oppioidi. L’intervento conseguente fu quello di tentare di contenere il fenomeno: indagini, ispezioni ai medici ed alle farmacie, cause collettive, processi, richieste di risarcimenti. Le prescrizioni facili e inappropriate diminuirono. Molte persone dipendenti dai farmaci, però, non trovarono subito una soluzione alla loro dipendenza ed alla loro astinenza e, complice un sistema sanitario molto differente dal nostro, trovarono una risposta negli spacciatori di droghe. Non curavano, ma almeno davano una risposta probabilmente più accessibile e, in molti casi, meno costosa dei medici e, in generale, dei servizi di cura specialistici. La confluenza del mercato di chi cercava droghe e di chi cercava farmaci creò una situazione ibrida, di cui il fentanyl divenne il catalizzatore. In quel momento l’intuizione geniale poteva essere spesa. In fondo quale è una regola dei mass-market? Sempre nuovi prodotti, sempre più potenti e ad un costo accessibile.

I NUOVI MIX

Nacquero così nuovi prodotti che univano il fentanyl a droghe già note e che aprivano una “nuova frontiera” rappresentata da un mix già oggi iconico: fentanyl + xilazina, pronto per la vendita ed il consumo. La novità stava nella unione di due sostanze prodotte in laboratori clandestini e caratterizzate da essere anche farmaci (la xilazina solo per uso veterinario) e non droghe illecite. A basso costo e ad altissima potenza sinergica avrebbero avuto successo portando quel piacere, quella anestesia e quella parziale euforia sedata che solo chi li usa conosce. Quale “nuova frontiera”? Saltare completamente le coltivazioni agricole e tutto ciò che rappresentano, semplificare i percorsi tra produzione e vendita, resi più complicati da assetti mondiali instabili, e mirare, con nuovi prodotti, ad un profitto più immediato di quello derivante dai lunghi percorsi delle droghe di origine naturale, strumenti finanziari e moneta di scambio, dalla coltivazione al consumo.

Risultato: una strage e decine e decine di migliaia di persone dipendenti e difficili da trattare.

Ciò che chiamiamo fentanyl in realtà non è una unica sostanza uguale al farmaco ma un insieme sostanze diverse della stessa famiglia e la loro potenza rende difficile dosarle alla produzione ma anche al consumatore.

IL PROBLEMA AMERICANO

Le overdosi negli Usa stanno, così, uccidendo più delle guerre e, probabilmente, non esiste una famiglia americana che non conosca personalmente almeno una persona morta per overdose. Nel Canada la situazione è simile. Così, mentre ai nostri media piace rappresentare i tossicodipendenti nelle situazioni più estreme e visibili, facendo pensare ad un problema che riguarda solo persone disperate ed emarginate che chiamano irrispettosamente “zombi”, morti viventi scarnificati dalla xilazina, le autorità rendono disponibile l’antidoto per le overdosi da oppiacei anche nelle scuole, nei college, nei luoghi di aggregazione, nei ristoranti. La morte per overdose sta interrompendo la vita di molti, nei luoghi e nelle situazioni più diverse, anche se le condizioni economiche, sociali ed etniche continuano ad avere un peso. Le organizzazioni criminali non paiono curarsi dei clienti che muoiono e non portano più risorse: decine e decine di migliaia ogni anno. Il profitto rimane alto. Probabilmente anche preoccupate dalla legalizzazione della cannabis che, in molti Stati, ha spostato parte di investimenti e profitti sul commercio lecito, ora investono su nuovi prodotti che è difficile pensare di rendere accessibili nei negozi per costruire una nuova economia legale. E poi se, solo negli USA, muoiono 70000 persone ogni anno solo per overdose in cui il fentanyl è coinvolto, l’anno successivo altre 70000 subentrano ed egualmente vanno a morire, facendo ipotizzare che ce ne siano molte di più che entrano in questo mercato come nuovi consumatori, pur essendo oggi chiara la situazione di pericolo. Sembrano guidate da una inquietante e inarrestabile forza autodistruttiva. Se non fosse realtà potrebbe essere la misteriosa trama di un film dell’orrore.

UN DRAMMA GLOBALE

Ma i misteri non finiscono qui. In una situazione quasi da guerra mondiale, i governi delle più grandi potenze, Usa e Cina, si incontrano ed uno dei temi della trattativa, portato del Segretario di Stato statunitense, Blinken, è proprio il fentanyl. Intanto i Talebani realizzano in un paio di anni quello che i milioni di dollari investiti dai Paesi Nato non erano riusciti a provocare: la riduzione quasi totale della produzione del papavero da oppio. Una scelta etico-religiosa, una scelta lungimirante nei confronti di oppioidi sintetici meno costosi da produrre dell’eroina o un modo di facilitare l’arrivo del fentanyl o di altri oppioidi ad alta potenza per mettere in difficoltà l’Europa?

Già, l’Europa e l’Italia che, sino a poco tempo fa, non si sono chieste perché in Nord America si e da noi no, vivendo una apparente indifferenza anche rispetto alle tonnellate di cocaina che arrivavano dal Sud America.

Ma già a settembre, la Commissaria europea agli Affari Interni Ylva Johansson, proprio dopo aver incontrato a Bruxelles i ministri dell’Interno di 14 Paesi dell’America Latina, dava un primo allarme fentanyl ed ora il nostro governo sembra averlo raccolto. Bisogna attivarsi.

Ciò che è chiaro è che la questione fentanyl e soprattutto ciò che sottende, con la diffusione di mix sintetici di sostanze ad alta potenza e basso costo, potrebbe diventare, se già non lo è, uno dei grandi problemi mondiali in grado di incidere direttamente sulle aspettative e sulla qualità della vita delle persone, come l’emergenza climatica, le pandemie o le guerre. E proprio con le guerre potrebbe avere un collegamento, se vediamo il tutto come un possibile strumento di destabilizzazione o di guerra asimmetrica, all’interno di scenari geopolitici in fermento.

LA FINE DEL TUNNEL

Abbiamo speranze di fermare questo processo? Non credo che sia un processo contenibile a livello di eserciti, servizi segreti, Forze dell’ordine ed apparati di controllo. Se lo fosse, Usa e Canada sarebbero in una situazione differente. Ciò non significa che non vada fatto ciò che deve essere fatto a livello repressivo ma che, comunque lo consideriamo, nelle cause o negli effetti, siamo di fronte ad una azione di mercato e probabilmente di destabilizzazione che funziona se trova consumatori disposti a farsi fidelizzare. Riusciremo a comprendere cosa potrebbe accadere sulla nostra pelle ed a limitare i danni? Riusciremo nell’ansia di voler controllare, a non rendere difficili i percorsi di cura con gli oppioidi a chi ne ha bisogno ed a non spingere in mano alla criminalità organizzata a chi ne è dipendente e se li sta procurando in un mercato grigio, differente dallo spaccio di droghe illecite? Riusciremo ad aumentare l’accessibilità a programmi di cura individualizzati di Servizi Dipendenze che, in molti luoghi, sono già in affanno nell’affrontare problemi sempre più complessi con poche risorse e che, anche in questo momento, non sono nemmeno citati per la loro funzione? Riusciremo a proteggere le persone più in difficoltà, anche attraverso azioni di prossimità nei luoghi a rischio? Riusciremo a ragionare su norme, leggi, scelte politiche ed investimenti, uscendo dai paradigmi e dai dibattiti di bandiera, analizzando i problemi laicamente, per elaborare strategie di intervento che mettano in primo piano la salute, la qualità della vita e la dignità delle persone? Riusciremo a capire che il mondo è cambiato e che dobbiamo avere il coraggio e l’umiltà di riconoscere che dobbiamo ripensare alle nostre azioni in questo ambito perché, ammesso che abbiano funzionato in passato, oggi funzionano sempre meno? Non vedo molte alternative: o riusciamo a farlo adesso, in Italia ed in Europa, anche avvalendoci delle esperienze e delle conoscenze che abbiamo, che non sono poche, o saremo costretti a farlo necessariamente più avanti, ma questa latenza, questa attesa, potrebbe avere risvolti drammatici.

*Medico psichiatra, coordinatore del Tavolo tecnico sulle dipendenze della Regione Lombardia

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