Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

L'editoriale/ Scocca l’ora di Roma Capitale

di Paolo Pombeni
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Sabato 11 Maggio 2024, 23:50

Se ne discute da decenni, finalmente la legge per Roma capitale torna in Parlamento. Il passo non è leggero, né banale, ma necessario. Anzi, arriva in ritardo. Quasi tutte le capitali delle grandi democrazie europee hanno autonomie e poteri che talvolta configurano vere e proprie città stato. La più storicamente decisiva tra queste, la più ricca di testimonianze della civiltà europea, è rimasta fin qui al palo. Giovedì in commissione alla Camera riparte l’esame del testo unificato approvato in commissione dalla maggioranza Draghi e in agenda dell’aula proprio nel giorno in cui cadde il governo dell’ex presidente della Bce. È una proposta bipartisan, che riassume due distinti disegni di legge costituzionali, presentati da Roberto Morassut del Pd e da Paolo Barelli di Forza Italia. Due anni fa la votarono tutti, tranne i deputati di Fratelli d’Italia, che erano all’opposizione e che si astennero. Oggi, che sono maggioranza e in maggioranza, non ci sono ragioni politiche perché non sostengano la proposta. Né ci sono ragioni perché il governo metta i bastoni tra le ruote di un’iniziativa parlamentare, anche solo per sostituirla con un proprio disegno di legge, come ha fatto con la riforma della giustizia. Il gabinetto Meloni si è già intestato tre riforme di rango costituzionale, destinate a cambiare in maniera sostanziale alcuni decisivi assetti istituzionali del Paese.

Se lasciasse al Parlamento una sua iniziativa parallela, sarebbe solo un atto di rispetto. Roma Capitale vuol dire Roma Regione. Significa dialogare direttamente con Bruxelles per accedere ai fondi europei e con lo Stato per finanziare le grandi opere. Significa risparmiare tempo e oneri. Significa recuperare il gap di dotazione Capitale che Roma sconta rispetto alle altre metropoli in termini di finanziamenti, infrastrutture, servizi.

Non è una diminutio radicale per la Regione Lazio, che manterrebbe la competenza esclusiva della sanità, cioè dei quattro quinti della sua spesa, e parte di quella dei trasporti. Non è un progetto rivale o antagonista rispetto all’autonomia differenziata. Non è, da ultimo, una modifica che impatta sulla legislatura e sulle leadership attuali, poiché i tempi di approvazione del disegno di legge costituzionale e della legge attuativa, che ne seguirà, saranno lunghi almeno tre-quattro anni. E per quella data alla Regione e al Campidoglio potrebbero esserci maggioranze e interpreti diversi da quelli attuali.

Sono tutti motivi per spingere sull’acceleratore senza divisioni e per portare a compimento una legge che può, perfino con maggiore nettezza di altre, presentarsi come una riforma di interesse nazionale: non una bandierina per compiacere questa o quella parte politica, ma una bandiera che tutti potrebbero impugnare in nome dell’interesse generale ad un sistema di governo della «Questione Capitale» razionale ed equilibrato. Vogliamo augurarci che si trovi una larga maggioranza, non solo per farla passare il più rapidamente possibile, ma per evitare il ricorso all’ennesimo referendum confermativo, che mostrerebbe un quadro politico incapace ad unirsi perfino sul simbolo della sua fondazione nazionale. Da giovedì quest’obiettivo impegna direttamente la coscienza parlamentare della nostra rappresentanza politica. Se il Parlamento è ancora la sede regina della visione e della progettualità politica del Paese, questa sfida di futuro è un’occasione da non perdere.

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