Il regista Bob Wilson incontra Pessoa, in prima mondiale alla Pergola di Firenze

“Pessoa. Since I’ve been me”, l'ultima creazione teatrale, presentata in prima mondiale al Teatro della Pergola di Firenze, del grande regista statunitense Bob Wilson

“Pessoa. Since I’ve been me”
di Katia Ippaso
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Domenica 12 Maggio 2024, 05:25

«Non cercherò di illustrare la vita di Fernando Pessoa, il mio spettacolo sarà come una nota a piè di pagina che parte dalla luce». Ancor prima di iniziare le prove di “Pessoa. Since I’ve been me”, la sua ultima creazione teatrale, presentata in prima mondiale al Teatro della Pergola (oggi ultima replica), il grande regista statunitense Bob Wilson esprimeva un certo pudore nei confronti dello scrittore portoghese, figura ascetica, incorporea, segnata da una coscienza quasi disumana della condizione esistenziale. Un pudore che si legge anche nell’opera finale, di forte impatto visivo, che trova la sua sintesi figurativa in un quadro virato sul rosso, in cui tutti gli elementi – lampadari, tavolini, sedie, creature umane – si trovano in uno stato di sospensione. In questa scena, prendiamo confidenza con le diverse personalità di Pessoa, convocate nello spazio siderale di un caffè di Lisbona.

Alter Ego

Come è noto, lo scrittore portoghese inventò diversi eteronimi (alter ego), ciascuno dotato di una propria biografia, con i quali firmava i suoi componimenti: Charles Robert Anon, Alexander Search, Alberto Caeiro, Alvaro de Campos, Ricardo Reis, Bernardo Soares. Ed è proprio assecondando il dispositivo del doppio che Wilson compone il paesaggio onirico del suo spettacolo. Recitato in portoghese, francese, inglese e italiano (nel cast, Maria de Medeiros, Rodrigo Ferreira, Janaina Suaudeau, Aline Belibi, Gianfranco Poddighe, Klaus Martini, Sofia Menci) “Pessoa. Since I’ve been me” rappresenta una tappa particolarmente significativa del progetto sull’ “attrice e l’attore europei” promosso dal Teatro della Pergola di Firenze e dal Théâtre de la Ville di Parigi. In questo senso, l’operazione è perfettamente riuscita.

Ma, in alcuni passaggi dello spettacolo, emerge un contrasto tra il testo poetico e la forma estetica. Ogni attore si presenta in scena performando e cantando i pensieri lirici di Pessoa. Si provoca così come un’eccedenza di vita, di colore, di riso.

Gli effetti sonori

E non bastano i prodigiosi effetti sonori (la tempesta, i vetri rotti), a creare dissonanza rispetto all'atmosfera da varietà scelta come cifra stilistica dominante. A Pessoa era impossibile vivere, figuriamoci prestarsi a una “messa in spettacolo”: «Brucia in me la rivolta contro la causa della vita che mi fece qual sono… Io non nacqui per essa» fa dire al suo Faust. Nonostante la raffinatezza estetica dei quadri scenici e l’indubbia bravura degli attori, a volte sfugge l'intimo accordo tra le parole dette e le immagini create dalla luce. Wilson, però, ci aveva avvisati: «Il mio spettacolo sarà una nota a piè di pagina». Un’espressione che, d’altro canto, era cara allo stesso Pessoa: «Tutto quello che l’uomo espone o esprime è una nota a margine di un testo completamente cancellato» scriveva in un frammento de "Il libro dell'inquietudine". In questo senso, il maestro texano ha creato un’opera sensoriale nella quale forse lo stesso scrittore si sarebbe volentieri immerso. Spaventato dall’abisso esistenziale che avvertiva sulla propria pelle, Pessoa, come Faust, alla fine della sua vita voleva solo dimenticare se stesso («Ho sempre rifiutato di essere compreso») per dormire e sognare. Ci piace, quindi, immaginare che il poeta si sarebbe abbandonato, come in sogno, allo spettacolo di Bob Wilson, per riposare nel flusso ipnotico dei colori, nella vertigine dei doppi, senza chiedere altro.

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