Separazione carriere, Gatta: «Politica e magistratura devono parlarsi. La giustizia non può essere tema elettorale»

L'intervista al giurista ed ex consigliere della ministra Cartabia

Separazione carriere, Gatta: «Politica e magistratura devono parlarsi. La giustizia non può essere tema elettorale»
di Francesco Malfetano
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Lunedì 13 Maggio 2024, 07:00

Professor Gian Luigi Gatta, da giurista ed ex consigliere della ministra Cartabia, come vede lo scontro tra il ministro Nordio e l’Anm?

«Come un rischio di delegittimazione delle istituzioni democratiche. E intendo sia della magistratura che della politica, da entrambe è auspicabile senso di responsabilità nel gestire le tensioni alimentate sia dalle proposte di riforma che dalle notizie di cronaca».

Separazione delle carriere e caso Liguria sono in qualche modo facce della stessa medaglia?

«No, intendo dire che un innalzamento dei toni è naturale quando i temi della giustizia vengono usati come bandiere politiche, specie in campagna elettorale.

Per questo sarebbe opportuno rinviare il confronto a dopo le Europee o si rischia di delegittimare la magistratura».

Teme una perdita di fiducia da parte dei cittadini?

«Se sommiamo i temi degli ultimi giorni alla norma sui test psicoattitudinali, per dirne solo una, è abbastanza ovvio che accada. Detto ciò va anche detto “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. La magistratura con la degenerazione del correntismo ha contribuito ad auto-delegittimarsi con comportamenti discutibili, se non illeciti, come palesato dal caso Palamara. Ma, tornando alla riforma, mi pare che trattandosi di temi che implicano modifiche costituzionali, bisognerebbe andare oltre le tifoserie. La percezione dei cittadini credo sia tutt'altra, non vedono come il principale problema della giustizia la separazione delle carriere, piuttosto la lentezza dei processi».

Su questo qualcosa si è fatto. Specie nella scorsa legislatura...

«Sì, ad esempio sui processi penali siamo al 25% di durata media in meno, in linea con il target del Pnrr, mentre sul civile serve ancora intervenire. Così come considero prioritari gli interventi sulle condizioni delle carceri».

Tutto meno che le carriere?

«È una riforma sui cui contenuti si potrà discutere, quando sarà noto il testo. Di sicuro va ridimensionata nella sua portata. La riforma Castelli prima e quella Cartabia poi hanno già limitato i cambi di carriera: tra 2006 e 2018 ci sono stati 756 passaggi, meno del 10% rispetto all’organico. Oggi si può passare da pm a giudice e viceversa solo una volta: le carriere sono già separate o quasi».

I due concorsi permetterebbero preparazioni diverse tra pm e giudici, forse più “specializzate”.

«Non lo si può escludere ma il confronto tra culture ed esperienze diverse è sempre positivo. Le faccio un esempio. Nordio, come provocazione, ha detto che nel suo mondo ideale il Csm sarebbe composto solo da magistrati. Vede io non sono d'accordo: l’autoreferenzialità della magistratura non va bene. La presenza di laici è un dato positivo che può portare ad input esterni di cui la magistratura ha bisogno. È stato così nella mia esperienza nel Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura. Detto ciò, premettendo che come capita spesso manca un testo, credo che serva stare attenti a non moltiplicare gli enti (i Csm) quando non è necessario».

Vede altri aspetti critici?

«In attesa di leggere il testo della proposta del Governo, non le nascondo che condivido più di una delle perplessità manifestate anche dall’Anm, a partire dal rischio di una perdita di indipendenza del pm rispetto al potere esecutivo. Vedo inoltre il rischio sia di enfatizzare il ruolo del pm, dandogli maggiore autonomia istituzionale e finendo con il renderlo ancora più protagonista. D'altra parte, mi perdoni se riparlo della riforma Cartabia, ma si sta ancora aspettando il disegno di legge che chiarisca la priorità nella trattazione dei procedimenti. Bisogna che sia presentato al Parlamento ma ancora non c'è. Questa sarebbe una priorità».

Si diceva dei casi di cronaca. Avrà notato le tante intercettazioni pubblicate del caso Liguria.

«Sì, è anche dovuto alla lunghezza dell'ordinanza, che ha più di 600 pagine. Sull’uso delle intercettazioni e dei trojan nei reati contro la Pa ritengo si tratti di uno dei casi in cui sono necessarie. La corruzione è per definizione un reato che si fa nelle segrete stanze: o hai un mezzo tecnologico che ti consente di carpire cosa si dicono due persone o non riesci a scoprirla. D’altra parte, se allentiamo i controlli o riduciamo gli strumenti investigativi c’è il rischio di degenerazione. Questa del ridimensionamento delle intercettazioni letta con la proposta di abolire l'abuso d’ufficio, o con i limiti al reato di traffico di influenze e alla responsabilità contabile, comporta dei rischi. Per di più leggevo di un’inchiesta in Calabria per concorsi universitari in cui oltre all'abuso d'ufficio hanno contestato l'associazione per delinquere. Ne deduco che siccome i Pm sanno che l'abuso reggerà poco, contestano reati più gravi per cui intercettazioni sono già previste».

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