LA LETTERA
Cara Michela, hai fatto caso?
Quando uno si incontra, il saluto di solito è tutta una frase attaccata “Ciaocomestai?” E come sto? E qui inizia la giaculatoria. Ci lamentiamo sempre di tutto a qualsiasi ora, lo sport nazionale. Ti dico di noi amiche di mezza età, abbastanza tranquille dal punto di vista economico e senza malattie mortali, capaci di tirarci su con l’ennesimo paio di scarpe. Anche queste risposte sono tutte attaccate come un’Avemaria di sconforto “Illavoroèunoschifo, chissàquandoandremoinpensione, miomaritostasempresuldivano, ifiglichilivede, haivistochesituazione” Io a volte rispondo “Tuttobéne” con la é aperta e strascinata come la diceva un mio collega anziano E tutte sanno che non è vero Ma a dire sempre male si pensa male e si trasmette disagio e si innesca un circolo vizioso in cui è difficile uscire. Sì ok davvero le cose non vanno benissimo ma insomma guardiamoci intorno c’è da che essere ottimisti ad avere un lavoro, un marito, dei figli e nessuna malattia mortale. Mi consolo con l’ajetto come diceva mia nonna? Forse. Tanto tempo fa lessi su un giornale che se ci si sorrideva davanti allo specchio per un po’ di minuti poi il cervello registrava il sorriso e mandava in circolo un po’ di felicità. Non so se sia vero, io ci provo ogni giorno. E tu Michela come stai?
Elena, 57 anni, Tivoli
LA RISPOSTA
Mia cara Elena, mala tempora currunt, dicevano i nostri avi. Tempora di malcontento, molti delitti e poche pene, fatiche, scarsa educazione civica, gap economici che hanno definitivamente paralizzato l’ascensore sociale già fermo da decenni, penalizzando chi è più debole: sessismo, razzismo e classismo sono il metro con cui si esercita lo sport nazionale del giudizio (che è il padre del lamento), praticato - quello sì - democraticamente da tutti. La forchetta che divide i ricchi dai poveri ha perso i suoi denti centrali e tutto aumenta vertiginosamente di prezzo, mentre la qualità si abbassa e il nostro potere d’acquisto precipita.
Di contro, anche aderire a quella formalità che ci porta a rispondere per frasi fatte può risultare impresa ardua: «Bene, grazie» funziona soltanto se prima non hai tentato di uccidere il vicino in ascensore, o di divellere il marciapiede. Io sarei per una ragionata, condivisibile sincerità: ascoltare davvero la domanda e trovare qualcosa di buono da rispondere in mezzo alla verità. Anche perché ‘sti benedetti rapporti umani vanno coltivati in qualche modo. «Ho un mucchio di bollette da pagare in questa bella borsa nuova». «Mi ha lasciato per un toyboy, ma adesso dormo più largo nel letto». «Piove, bene per i vigneti». Insomma, farei un po’ di sana neurolinguistica: alla fine, siamo anche quello che diciamo. Per cui, se mi chiedi come sto, ti ringrazio per il tuo interessamento e ti rispondo così: «Vorrei stare meglio, ma ho la fortuna di sapere cosa significa stare peggio». Mi piacerebbe mantenere questo equilibrio tra apprezzare ciò che ho e desiderare quello che non ho. Intanto, nel dubbio, sorrido. Non perché io sia tanto felice da sorridere ma, quando sorrido, mi sento felice. È tutta una questione di prospettiva. Maya Angelou ha detto: «Se qualcosa non ti piace, cambiala. Se non puoi cambiarla, cambia te stesso. Non lamentarti». E io, a Maya Angelou, le credo.