Procreazione assistita, le nuove linee guida: la donna può chiedere l'impianto dell'embrione anche dopo la separazione o la morte del partner

Dopo quasi dieci anni di attesa il ministero della Salute ha varato le nuove linee guida

Procreazione assistita, le nuove linee guida: la donna può chiedere l'impianto dell'embrione anche dopo la separazione o la morte del partner
di Graziella Melina
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Sabato 11 Maggio 2024, 06:26 - Ultimo aggiornamento: 10:09

Più peso alle scelte della donna e supporto psicologico alla coppia. Le nuove linee guida del ministero della Salute sulla procreazione medicalmente assistita (pma) – pubblicate ieri sulla Gazzetta Ufficiale – mettono finalmente nero su bianco, dopo nove anni di ritardo, le nuove indicazioni da seguire per le donne che provano a diventare mamme con le procedure di fecondazione assistita. Ma soprattutto aggiornano le modalità di accesso alla pma, previste da una legge di 20 anni fa (la numero 40), tenendo conto non solo dell’evoluzione tecnico scientifica, ma anche di sentenze italiane e di direttive europee. A cominciare dalla norma che consente alla donna di procedere con la pma anche se nel frattempo il partner ha cambiato idea oppure è morto.

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Il dettaglio

In sostanza, come era stato già stabilito dalla Cassazione nel 2019 e poi dalla Corte Costituzionale nel 2023, il consenso alla procreazione medicalmente assistita non può essere revocato e la donna può comunque tentare di diventare mamma. «Si tratta di una indicazione positiva - spiega Eleonora Porcu, membro del Consiglio superiore di sanità e professore di ginecologia e ostetricia della Alma Mater Università di Bologna - È giusto procedere con la pma, piuttosto che fa rimanere l’embrione nel limbo infinito del bidone di azoto liquido».

Resta dunque in secondo piano il parere del futuro papà. «Alcuni settori della giurisprudenza, sia italiana sia all’estero, riflettono sul fatto che così l’uomo non ha alcun diritto – prosegue Porcu - però è prevalsa l’idea che la donna abbia una priorità nella scelta.

Non dimentichiamo che la sentenza italiana, che è molto articolata, prende in considerazione la fatica, la sofferenza e i rischi che corre per poter generare questi embrioni. E quindi deve avere una parola in più sulla scelta da compiere». Altra novità delle linee guida riguarda poi il servizio di assistenza psicologica, in realtà già previsto dalla legge 40, ma non sempre finora garantito. «L’attività di consulenza e di supporto psicologico – si legge nelle linee guida - deve essere resa accessibile in tutte le fasi dell’approccio diagnostico terapeutico dell’infertilità o sterilità» ed eventualmente anche dopo che il processo di trattamento è stato completato, a prescindere dall’esito delle tecniche applicate. «Servirebbe una maggiore consapevolezza da parte delle coppie – rimarca Porcu - Il consenso informato andrebbe meditato e ragionato. Non sempre infatti le coppie sanno bene a che cosa vanno incontro, qual è la loro possibilità di avere un bambino con il percorso che iniziano. Anche le possibili complicanze devono essere sottolineate e illustrate per bene. Dovrebbe essere un dettame di buona pratica clinica». Molte donne, infatti, non danno il giusto peso alle reali percentuali di successo. «Spesso si dice che per esempio si ha il 30 per cento di possibilità di gravidanza. Io dico sempre il contrario: c’è il 70 di possibilità di non farcela, perché le donne devono essere preparate a un potenziale insuccesso».

L’aspettativa

Del resto, le linee guida del ministero mettono in guardia anche sui rischi di voler un figlio troppo tardi: «La capacità riproduttiva della coppia subisce un declino con l’età – scrivono gli esperti - Tale fenomeno si manifesta in maniera più sensibile nella donna; l’aspettativa di avere un figlio per una coppia nella quale è presente una donna di età superiore ai 35 anni è ridotta del 50% rispetto alle coppie nelle quali le donne hanno un’età inferiore». In realtà, le informazioni sulla propria fertilità, come suggerisce Porcu, «dovrebbero essere sottolineate non tanto alle persone che arrivano a fare la pma, perché ormai è troppo tardi, quanto piuttosto alle ragazzine, perché conoscano fin dall’infanzia il proprio corpo e crescano consapevoli del fatto che non abbiamo un numero infinito di ovuli e che ogni poco si consumano».

Le linee guida, poi, indicano la possibilità di test genetici preimpianto per poter individuare malattie genetiche presenti nell’embrione e che si manifesterebbero alla nascita in caso di gravidanza evolutiva. «La valutazione genetica degli embrioni – mette però in guardia l’esperta del Css - deve essere fatta con grande accortezza, perché potrebbe dare l’illusione a qualcuno di avere una buona garanzia di un figlio sano. Ma questa certezza non c’è mai».

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