Povertà, scende il numero degli italiani a rischio grazie al trend dell'occupazione. Restano però le preoccupazioni tra gli under 35

In un anno 679.000 persone sono uscite dal rischio indigenza. I dati

Povertà, scende il numero degli italiani a rischio grazie al trend dell'occupazione. Restano però le preoccupazioni tra gli under 35
di Giusy Franzese
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Mercoledì 8 Maggio 2024, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 07:10

Diminuiscono le persone a rischio povertà in Italia. Sono sempre tante, un esercito di 11 milioni e 121 mila individui che con un reddito inferiore a 11.900 euro l’anno fanno salti mortali per rimanere a galla. Ma l’anno precedente erano 679.000 in più. A tirarle fuori da una situazione in cui anche portare un piatto caldo a tavola tutti giorni può essere complicato, è stato soprattutto il buon andamento dell’economia che ha creato nuovi posti di lavoro. Il confronto dei dati diffusi sull’occupazione l’altro giorno dall’Istat (+425.000 occupati) con quelli di ieri sul calo del rischio povertà, lo conferma. E avvalora la tesi di chi è convinto che è con il lavoro buono e con la crescita dell’economia che si può combattere la povertà, non con proclami dai balconi del palazzo del potere sventolando sussidi improduttivi.

L’Istat lo precisa: «L’aumento dell’occupazione ha portato a una decisa contrazione rispetto all’anno precedente della quota di individui (8,9% da 9,8%) che vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro (indicatore Europa 2030), ossia con componenti tra i 18 e i 64 anni che hanno lavorato meno di un quinto del tempo».

Ed è questo il principale motivo per cui è diminuito il rischio povertà, sceso nel 2023 al 18,9% (era il 20,1% nel 2002). A questa platea si aggiunge la quota di chi vive in povertà assoluta, che invece purtroppo registra un aumento rispetto all’anno prima (4,7% contro il 4,5%).

Complessivamente - sottolinea l’Istat - tra chi è a rischio di essere trascinato nel pozzo della povertà, chi fa parte degli esclusi sociali (reddito sotto una certa soglia, grave deprivazione materiale, scarsa intensità di lavoro) si arriva a 13 milioni e 391.000 persone (22,8% della popolazione, contro il 24,4% del 2022). Sono i pensionati e i sussidiati - continua l’Istat - a rischiare di più di essere fagocitati dal mostro povertà. E anche chi ha come fonte principale di reddito quello da lavoro autonomo ha un forte margine di rischio (la quota nel 2023 è salita al 22,3% rispetto al 19,9% nel 2022). Più tranquille le acque per chi ha un lavoro dipendente.

LE DISUGUAGLIANZE

I sussidi (reddito di inclusione, assegno universale, bonus energia, ecc.) hanno comunque dato una mano: in mancanza i poveri sarebbero stati molti di più. Secondo l’Istat l’introduzione dell’assegno unico (percepito da 7,8 milioni di persone per un importo medio di 1930 euro l’anno e un costo complessivo di 15,1 miliardi) ha ridotto dell’1% la percentuale di famiglie a rischio povertà e aumentato dello 0,66% l’indice Gini sull’equità della distribuzione dei redditi equivalenti. Le disuguaglianze sono diminuite soprattutto nel Nord-Ovest e nel Nord-est. Rimaste stabili nel Centro, lievemente migliorate nel Mezzogiorno che resta l’area del Paese con la percentuale più alta di individui a rischio (comunque in calo al 39% rispetto al 40,6% del 2022).

I GIOVANI

Eppure non bastano i dati positivi rilevati dalle statistiche per rendere tranquilli gli italiani sul loro prossimo futuro. Soprattutto i giovani - secondo un’indagine Confcommercio-Censis - sono pervasi da un senso di insicurezza sul futuro che smorza gli entusiasmi e amplifica i timori. Il 56,3% degli intervistati tra i 18 e i 35 anni hanno detto di essere preoccupati di non trovare un lavoro che piace e adeguatamente retribuito, di dover rinviare il desiderio di mettere su famiglia e fare figli perché lo stipendio non è sufficiente a stare dietro al caro vita e i canoni di affitto per un’abitazione decente sembrano irraggiungibili. «Il saldo tra ottimisti e pessimisti sulle aspettative future a sei mesi è 10 punti sotto rispetto a un anno fa e un po' sotto i valori del 2018» spiega Mariano Bella, direttore del centro studi di Confcommercio. Nel complesso comunque il rapporto indica un’economia italiana in salute, con previsione di aumenti dei consumi quest’anno dello 0,9% a fronte di un incremento del reddito disponibile dell’1,4%.

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