Alessandro Barbano

Diritti di genere: includere senza implodere

Diritti di genere: includere senza implodere
di Alessandro Barbano
3 Minuti di Lettura
Sabato 18 Maggio 2024, 00:26 - Ultimo aggiornamento: 11:40

L'Europa – dice Roberta Metsola promuovendo la dichiarazione sui diritti delle comunità Lgbt+ che l’Italia non ha votato – è sinonimo di libertà: libertà di vivere come si vuole, libertà di amare chi si vuole senza discriminazioni, odio e pregiudizi, libertà di essere chi si vuole essere. Da liberali conveniamo totalmente sulla prima e sulla seconda libertà. Ma c’è una libertà di essere chi si vuole essere?

È questo il punto. Ciascuno può percepirsi in modo diverso da ciò che è, ma la sua percezione può diventare una libertà, cioè imporsi alla percezione che gli altri hanno della sua realtà, e far discendere da tale percezione nuovi diritti? È questa la pretesa prometeica dell’ideologia del gender. Per la quale l’identità di genere è mera «identificazione percepita e manifestata di sé», anche se non corrisponde al proprio sesso, e indipendentemente dall’aver avviato un percorso per cambiare sesso. Vuol dire che, emancipandosi dal sesso, l’autodeterminazione di genere diventa un puro costrutto sociale e approda a un soggettivismo assoluto.

Non a caso, il primo bersaglio di questa ideologia è il linguaggio.

L’idea è che, estirpando la realtà oggettiva dal linguaggio, si approdi a una compiuta pacificazione della vita. Questa opera di sterilizzazione del linguaggio coincide con l’eliminazione delle sue differenze, in quanto presunte fonti di discriminazione, e la sostituzione con espressioni linguistiche neutre. Un’estremizzazione comica di questa tendenza è l’invito a usare l’asterisco, o la U, al posto delle vocali finali dei nomi che, con una declinazione binaria, identificano il maschile o il femminile.

Ma la neutralità di genere stacca anche il linguaggio dalla storia, cioè dal percorso che i diritti hanno compiuto per affermarsi. Mi chiedo che cosa nella storia rappresenti il femminile. Possiamo almeno convenire che l’emancipazione del femminile sia un valore quasi assoluto, poiché segue e promuove l’intero sviluppo della civiltà liberale? E uso l’avverbio “quasi” per rispetto del relativismo che si deve a ogni verità laica, non senza fare notare, però, che la densità di questo valore è immune, tranne che nell’Afghanistan dei talebani, dalle pretese di qualsivoglia maggioranza. Per illiberale e reazionaria che fosse, nessuna egemonia politica potrebbe arretrare sul percorso dell’emancipazione.

Mi chiedo però se la neutralizzazione della differenza sessuale nello spazio civile, e la sostituzione con un’identità percepita soggettivamente, non sortiscano il rischio di un azzeramento del femminile, cioè del valore simbolico di quelle libertà che, in nome del femminile, sono state raggiunte in tre secoli di lotta.

Aggiungo che un mondo senza differenze approda a una piatta eguaglianza, ma non è affatto detto che sia un mondo pacificato e privo di discriminazioni. Poiché sotto la crosta della sua neutrale indifferenza ribollono quelle tensioni e quella violenza che il protocollo convenzionale rimuove e occulta, ma non spegne. Per tutti questi motivi, riflettere sulle conseguenze di diritti costruiti «a la carte» non è un atteggiamento illiberale o reazionario, ma anzi, incarna il dovere di pensare la libertà insieme con il limite. E ci interroga su quale sia la strada che porta l’Europa a includere senza implodere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA