Gaza, tensioni tra Israele e Vaticano per un articolo di Vatican News: «Errore paragonare sionismo e colonialismo»

Gaza, tensioni tra Israele e Vaticano per un articolo di Civiltà Cattolica: «Errore paragonare sionismo e colonialismo»
di Franca Giansoldati
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Giovedì 16 Maggio 2024, 20:43 - Ultimo aggiornamento: 21:38

Non sono mai stati tanto pesanti, aggrovigliati e negativi i rapporti tra Israele e il Vaticano come in questo momento. Da quando è iniziata la guerra a Gaza per sradicare Hamas è stato un continuo di dichiarazioni percepite come ostili, di silenzi eloquenti o incomprensioni che si alternavano a rischiarate per poi riprecipitare in un successivo nodo da sciogliere.

Non si erano ancora sopite le polemiche diplomatiche di domenica scorsa quando sul sagrato di San Pietro il Premio Nobel per la pace Tawakkul Karman si era lanciata in una durissima (e applaudita) invettiva contro la guerra. Aveva denunciato che è in «atto un genocidio, una pulizia etnica» ovviamente sollevando la reazione della diplomazia israeliana. 

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Stavolta a mettere altra carne al fuoco è stato un saggio firmato da un gesuita israeliano e pubblicato con grande risalto sui media vaticani di uno scrittore della Civiltà Cattolica, il quindicinale che rispecchia gli orientamenti della Santa Sede visto che le sue bozze vengono riviste prima di andare in stampa dalla Segreteria di Stato. Il tema affrontato è delicatissimo e potenzialmente esplosivo, visto che fa riferimento alle radici dello Stato ebraico. Riguardava infatti l'equiparazione tra sionismo e colonialismo, esaminati nella stessa misura secondo l'analisi di padre David Neuhaus, professore di Scritture a Gerusalemme e membro di lunga data della Commissione Giustizia e Pace della Chiesa cattolica di Terra Santa. «Il sionismo politico cercò di cavalcare l'onda del colonialismo europeo e ciò si dimostrò efficace quando i britannici conquistarono la Palestina nel 1917, dopo avere promesso agli ebrei un focolare nazionale, come scritto nella Dichiarazione di Balfour, stilata poche settimane prima che la Palestina fosse strappata ai Turchi». Un passaggio del testo che non poteva passare inosservato. E così è stato.

Raphael Schutz, ambasciatore israeliano presso la Santa Sede ha preso carta e penna per pubblicare una sua replica su Vatican News e l'Osservatore Romano che di fatto è stato cestinato. «Prima mi hanno detto di sì e poi ci hanno ripensato». Schulz spiega che «sionismo e colonialismo non hanno mai avuto nulla a che fare. Il colonialismo è quando un impero occupa un territorio lontano per sfruttarne le risorse. Il sionismo, invece, riguardava una minoranza perseguitata che sentiva l'urgente necessità di avere un posto al sole in cui poter essere libera, indipendente e al sicuro dalle persecuzioni. Non c'è nulla in comune tra sionismo e colonialismo ma sfortunatamente, nella nostra epoca di menzogne e informazioni false, si sente speso parlare erroneamente di una correlazione».

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Un altro passaggio dell'articolo di Vatican News che ha causato altre incomprensioni è il successivo binonio, quello tra l'Olocausto e la Nabka, la Catastrofe, vale a dire l'esilio dei palestinesi che nel 1947 vivevano nei territori assegnati allo Stato di Israele a seguito di una Risoluzione dell'Onu. «Neuhaus riconosce brevemente che furono gli arabi a respingere il piano di spartizione dell'Onu nel 1947 ma poi non menziona che furono anche gli aggressori che iniziarono la guerra nel 1948.

La miopia e le politiche belligeranti della leadership arabo-palestinese furono ciò che portò su di loro la Nabka e non tanto l'Olocausto. Di conseguenza dire che fu a causa della Shoah che vi fu la Nabka è un altro errore anche se alcuni potrebbero sostenere che meritavano una tale punizione a causa del loro entusiastico sostegno al nazismo e della loro solidarietà con i nazisti». Il riferimento del diplomatico israeliano riguarda l'appoggio incondizionato a Hitler del Mufti di Gerusalemme Amin al-Husseini, una delle più alte autorità dell’Islam sunnita che fu alleato e amico del Fuerer. Egli lo incoraggiò, per quanto era in suo potere, a perseguire sino in fondo il programma di sterminio del popolo ebraico. 

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Per il Vaticano la questione mediorientale è scottante, urgente e terribilmente delicata. Papa Francesco in questi mesi si è spesso trovato tra l'incudine e il martello, e ha cercato di aiutare come poteva le popolazioni di Gaza sotto le bombe. L'altro ieri ha ricevuto in Vaticano un suo amico rabbino, l'argentino Sergio Bergman con una delegazione dell'Unione mondiale per l'ebraismo progressista, al quale ha assicurato di fare il possibile per aiutare a riportare a casa gli oltre cento ostaggi che sono ancora nelle mani di Hamas dal 7 ottobre. Il rabbino gli ha donato un nastro giallo e una piastrina identificativa a sostegno degli ostaggi e una Mezuzah dell'Unione mondiale come simbolo della «identità ebraica progressista e sionista in tutto il mondo». 

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L'ambasciatore Schutz ha continuato: «Vanno fatte alcune doverose osservazioni in merito all'articolo di David Neuhaus: innanzitutto, contrariamente a quanto da lui scritto, il sionismo non cercava le sue radici in particolare nella Bibbia. Fin dalla sua origine le forze dominanti nel movimento sionista, incluso Theodor Herzl, erano laiche e pragmatiche, mosse dal desiderio di trovare una soluzione a un problema reale e urgente - la persecuzione degli ebrei nell'Europa cristiana - e non da una visione messianico-religiosa». 

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Per il diplomatico il pensiero di Neuhaus «solleva completamente i palestinesi da qualsiasi responsabilità nei confronti del loro destino. Li vede solo come vittime. C’è qualcosa di condiscendente, per non dire razzista, nel non trattare un certo gruppo di persone come adulti responsabili di se stessi. Questo è ciò che fa Neuhaus. Ciò gli impedisce di accettare il fatto che la causa principale di questo sanguinoso conflitto non è il sionismo, ma piuttosto la mancanza di una visione positiva da parte dei palestinesi: dall’inizio del conflitto fino ad oggi i palestinesi non hanno mai riconosciuto autenticamente il fatto che il conflitto è tra due movimenti nazionali che cercano l’autodefinizione sullo stesso territorio. Per loro ( a quanto pare anche secondo Neuhaus) noi ebrei non siamo un popolo o una nazione, siamo semplicemente una religione e come tali non meritiamo alcun territorio. Cercano anche sistematicamente di negare la storia, vale a dire la presenza ebraica in Terra Santa nel passato. E’ qui che risiede l’errata correlazione al colonialismo: gli ebrei non potrebbero essere più indigeni di così a questa terra».

Tradotto in politica, «questo atteggiamento avrebbe portato per decenni i palestinesi a dire no a qualsiasi soluzione e a dare sempre priorità al conflitto rispetto alla costruzione della nazione. Quindi, anche se Israele si è ritirata dalla Striscia di Gaza nel 2005, non hanno colto l’opportunità di costruire lì qualcosa di positivo ma, al contrario, guidati dal loro cieco odio verso Israele e gli ebrei, hanno trasformato Gaza nella più grande base terroristica mai vista». Infine l'ambasciatore aggiunge di fare fatica a capire padre Neuhaus quando parla della guerra a Gaza «senza menzionare il massacro genocida del 7 ottobre che ha scatenato la guerra. Ci vuole una particolare forma di cecità morale e/o mancanza di integrità per fare una simile omissione».

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Il punto conclusivo del diplomatico è un appello ai media «a riflettere sul loro ruolo nel promuovere, e quindi normalizzare, idee che negano il diritto di esistere dello Stato ebraico e in che misura la legittimazione di tali idee contribuisce all’ondata di antisemitismo che gli  ebrei vivono soprattutto in occidente in questi giorni»

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