«È evidente la lesione all’immagine della pubblica amministrazione, anche per effetto del diffuso e dettagliato risalto delle vicende», si legge in un passaggio-chiave della sentenza di 17 pagine. «Si può agevolmente cogliere il profondo danno che l’amministrazione di appartenenza subiva al proprio decoro e alla propria credibilità, sia interna che esterna - sostiene la Corte dei Conti dell’Aquila -. Si tratta di comportamenti certamente detestabili, in quanto imputabili ad individuo le cui attività d’istituto si svolgevano in complesso, delicato ed esteso settore d’amministrazione».
I giudici contabili accolgono dunque la richiesta del pubblico ministero Erika Guerri, ritenendo «equo determinare il danno all’immagine in 25 mila euro, importo ampiamente giustificato dal ruolo e dalle funzioni rivestite dal responsabile, dall’oggettività ed intrinseca gravità dei numerosi fatti contestati nonché dalla rilevanza e risonanza che le vicende avevano sugli organi di informazione, uniti al clamore comunque connesso alla instaurazione, celebrazione e conclusione del processo penale». Il pm contabile aveva sottolineato: «Il danno all’immagine risulta ancora maggiore per il tipo di reato perpetrato, quale quello di concussione, che è certamente tra i più riprovevoli. Queste considerazioni sono ancor più suffragate dalle funzioni di assessore dell’interessato e dalle modalità dell’illecito (atti sessuali): ha approfittato del ruolo svolto e dello stato di bisogno delle signore che si erano a lui rivolte per ottenere un alloggio».
Scendendo nel dettaglio, «l’entità del danno all’immagine si presume pari al doppio della somma di denaro o del valore di altra utilità illecitamente percepita dal condannato. In questo caso, non essendo suscettibili di valutazione patrimoniale gli atti sessuali, per la quantificazione deve seguirsi il criterio equitativo avvalorato da costante giurisprudenza contabile». L’avvocato Alessandro De Iuliis, che difende l'ex politico, aveva chiesto l’assoluzione sostenendo «l’insussistenza dei fatti storici», contestando «l’entità del preteso risarcimento» e richiamando «lo stato d’indigenza nel quale è precipitato» D’Agostino. Ma per la Corte dei Conti l’ex assessore va condannato.
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